Scritto da:
Rossella Martelloni
Senior Consultant di Hermes Consulting
Persone e trasformazione tra distanza e presenza
- Giu 22, 2020
- By Hermes
- In Non categorizzato
Recenti ricerche, tra cui la nostra Smart Working Survey realizzata in collaborazione con l’Istituto Demia, mostrano un’inevitabile correlazione tra la diffusione dell’emergenza sanitaria e l’esplosione dello smart working, passato in brevissimo tempo da fenomeno in qualche modo “di nicchia” a grande fenomeno di massa. Il Politecnico di Milano evidenzia che l’Italia è passata dai 570 mila remote workers agli 8 milioni.
Con l’arrivo dell’emergenza è accaduto il miracolo: in tempi brucianti, sia le organizzazioni che erano strutturate in tal senso, sia quelle che non erano preparate, si sono attrezzate, facendo in modo che la quasi totalità delle persone iniziasse a lavorare da casa. I nostri dati indicano che solo il 13% delle aziende/enti si è trovato del tutto impreparato, ma comunque la rapidità della risposta è stata di portata notevole. Una vera gestione dell’emergenza, in cui gli HR e le persone si sono superati. C’è di che essere orgogliosi di tutto questo.
Ed è così che fra disorientamento, perplessità e apprensione, nel periodo del lockdown si sono scoperte molte cose. Innanzitutto, si è presa coscienza delle potenzialità esprimibili quando persone e organizzazione sono allineate rispetto a minacce e obiettivi comuni.
In secondo luogo, che da casa ciascuno può – sia pur con diverse difficoltà – lavorare rispettando i propri tempi e gestendo nuovi equilibri tra famiglia e lavoro.
Inoltre, al netto di qualche comportamento opportunistico o manipolativo, è stata garantita la produttività, se non addirittura migliorata, poiché le persone si sono concentrate sui risultati e non sul compito, sull’output finale e non sul tempo impiegato o sull’orario di lavoro.
Senza contare che l’assenza degli spostamenti quotidiani per raggiungere il luogo di lavoro, la distanza rispetto a certe relazioni conflittuali in azienda, alle pressioni costanti, alle continue interruzioni generate dalla convivenza negli spazi fisici, hanno diminuito lo stress lavorativo.
Sia pur tra forti resistenze e contraddizioni, la leadership orientata al controllo è spiazzata di fronte al fatto che le persone si possono organizzare con maggiore autonomia e flessibilità. Ed ecco che la delega, connessa alla fiducia, anche laddove scarsamente praticata, diventa una prassi indispensabile.
Proprio perché più libere, le persone hanno attivato maggiormente le idee, con quella capacità tutta italica di arrangiarsi nell’emergenza e di inventare soluzioni intelligenti per migliorare l’attività quotidiana.
Inevitabilmente, è esploso anche il fenomeno delle riunioni e della formazione online: durante la settimana si sono avvicendate attività che, pur a distanza, mettono costantemente in relazione le persone, in modo talmente intensivo da richiedere un’ottimizzazione, per non rischiare di diventare esse stesse un fattore di stress. Comunque, la consapevolezza digitale è inevitabilmente aumentata.
Sono diminuiti certi costi per le aziende e per le persone, sono diminuite le emissioni di CO2 nell’atmosfera, è nettamente migliorato l’inquinamento e i centri urbani hanno beneficiato di una condizione inimmaginabile fino ai primissimi del 2020.
La situazione di pesante costrizione, che ha fatto di necessità virtù, ha finito per far desiderare il ritorno in azienda. Le ricerche evidenziano che circa il 71% dei lavoratori è a disagio per avere meno occasioni di scambio fra colleghi e più carichi famigliari. Si auspica quindi che il periodo di assestamento vedrà un mix tra presenza fisica e distanza, tra frequentazione degli spazi di lavoro e attività in remoto.
Secondo la nostra ricerca, l’84% dei manager pensa che l’utilizzo dello smart working proseguirà, e in molti hanno capito che quando l’emergenza sanitaria verrà superata ci troveremo di fronte a uno scenario completamente nuovo, sia in virtù dell’esperienza avviata da decine di migliaia di imprese e milioni di lavoratori, sia soprattutto per un evidente mutamento sociale, politico, economico, culturale e valoriale che ne deriverà.
Indubbiamente ci saranno risvolti imponenti, innanzitutto perché molte imprese avranno grandi difficoltà a proseguire la loro attività così come configurata fino a qualche mese prima. Il ricorso alla cassa integrazione in atto può rappresentare l’anticamera di provvedimenti più drastici, evocando condizioni di downsizing.
L’incertezza, l’imprevedibilità e l’instabilità, diventate condizioni immanenti, creeranno scenari che bisognerà saper affrontare con nervi saldi come in ogni momento di grave crisi.
E visto che le prassi di lavoro saranno per varie ragioni molto diverse da quelle a cui siamo abituati, ciò richiede da subito l’affiancamento e lo sviluppo di manager preparati, solidi ed equilibrati, in grado di traghettare, gestire, far elaborare, anticipare e vivere il cambiamento. Le ricerche ci dicono che le imprese dotate di un innovation manager o di un change manager orientato tanto al mercato quanto alle persone reagiscono meglio ai momenti di eccezionali difficoltà.
E’ evidente che saper prendere rapidamente le decisioni giuste mantenendo equilibri molto delicati sarà una condizione vitale per non perdere la bussola e navigare in un mare in burrasca.
Soprattutto, è bene che già da subito le aziende si raccolgano intorno alle persone, pensando a come contenere gli urti e le minacce, facendo attenzione alle ondate di emozioni che pervadono e pervaderanno l’organizzazione. I sentimenti, i bisogni espliciti e latenti, il clima e i valori che garantiscono saldezza e identità costituiranno l’asse portante della gestione di una trasformazione senza precedenti.
Sarà importante prevedere figure di supporto e affiancamento – siano esse psicologi, counselor o coach – che sappiano accogliere gli inevitabili disagi e disorientamenti delle persone e aiutarle a trasformarli in nuova consapevolezza e capacità di passare all’azione.
E’ verosimile che la struttura fondante della ricostruzione e del “nuovo corso” sarà fatta di trasparenza, dialogo, confronto, collaborazione, attenzione al Bene Comune, di sentirsi un’unica grande squadra, dell’espressione di una cura, di un supporto e persino di una gestione affettiva delle persone, che forse – proprio per la minaccia di un tessuto sociale lacerato – finalmente potrebbero venire prima degli aspetti finanziari, tecnologici e organizzativi.
A questo aggiungiamo che la percezione del 50% dei manager è che lo smart working rappresenta un impoverimento nei rapporti umani e professionali. Ciò lascia intravedere una minaccia. Si tratta della parcellizzazione del lavoro, della mancanza per le persone di una visione di processo, di insieme e di senso, e anche della distanza dalle fondamentali relazioni in presenza, con tutto il confronto, la condivisione e lo scambio emotivo che possono portare. Tutto ciò rischia di depauperare i contenuti professionali rendendo la persona “sostituibile a prescindere”.
A maggior ragione, il lavoro in remoto dovrà quindi essere bilanciato da incontri in presenza pensati con più cura e qualità, proprio per rassicurare e stimolare le persone, rafforzando il senso di appartenenza, non solo all’azienda in quanto tale, ma anche e soprattutto ai valori e alla comunità.
Il ricorso a occasioni di confronto creativo con output orientati a “come possiamo fare meglio da domani, insieme”, a gruppi di studio, apprendimento e lavoro, di laboratori, di momenti ricreativi e di socializzazione, darà la possibilità di mantenere un contatto costante con i pensieri, con l’inconscio collettivo, con le emozioni e i sentimenti delle persone, generando comportamenti e soluzioni che potrebbero superare le aspettative.
Insieme ad essi, il faro puntato sul “dopo crisi”, sulla ricostruzione e su un futuro credibile, bello e soprattutto sostenibile potrà essere foriero di grandi opportunità.
Inoltre, poiché “se non ci si distingue ci si estingue”, questo indurrà un forte ripensamento dei modelli di business e di leadership, dell’approccio al mercato, del modo di fare innovazione, delle prassi manageriali, della gestione della performance, dei modelli collaborativi.
E’ auspicabile, ma anche possibile, che i valori verranno maggiormente orientati verso l’interno e verso le persone: fiducia, trasparenza, senso del Noi, valorizzazione delle diversità, inclusione, solidarietà, ascolto, gentilezza, collaborazione, connessioni, osmosi, creatività, iniziativa. E anche un nuovo linguaggio. Ciò costituirà una compensazione di aspetti come “accelerare, competere, sfidare” dove è invece il mercato che impone le sue regole. Un mercato e un sistema che peraltro hanno dimostrato la loro fragilità.
Tutto dipenderà dal grado di bilanciamento tra l’orientamento alle persone e l’orientamento al mercato, dal mix tra il modello agile, che ha un’ottica di brevissimo, e il modello sostenibile, che per sua natura guarda lontano. Diversamente, si sarà persa una grande opportunità.
La differenza la faranno le organizzazioni che avranno il coraggio e l’impegno di ripartire dall’essenziale e da ciò che conta veramente, dedicando un’attenzione speciale al contenimento della paura e coltivando la gioia di lavorare insieme per il Bene Comune.
E probabilmente si scoprirà che proprio in momenti come questi, in condizioni come queste, le persone e le imprese possono esprimere il meglio di sé.