Il Covid 19 è di fatto un virus interessante.
Tutti i virus nella loro elementarità hanno bisogno di mutare continuamente nel proprio strato lipo-glico-proteico esterno per garantirsi la sopravvivenza e il nostro COVID19 non è da meno. Anzi, lui più di altri si mostra molto confident al cambiamento. Ciò che muta è la propria struttura profonda – quello che tecnicamente è noto come RNA – e di conseguenza la sua struttura superficiale.
Muta dunque il suo assetto comportamentale, nella frenetica corsa alla vita che si garantisce attraverso il contatto, la connessione e l’interrelazione con un altro essere vivente.
La competenza distintiva del Covid19 si esprime dunque nella notevole flessibilità e capacità di cambiare in risposta alle mutate caratteriste del contesto con cui entra in relazione.
Dalle rappresentazioni che vediamo poi, questo virus risponde anche ad un attualissimo senso estetico… è accattivante nel design e nei colori, quale fosse venuto fuori dalle mani di un innovativo jewel designer, pronto a diventare un’altisonante icona del fashion business.
Un virus reale e regale, quindi, che si sta imponendo alla nostra attenzione quotidiana, che guida e orienta le nostre azioni sul presente e le riflessioni sul futuro, che esprime la sua forza nella consapevolezza della propria incertezza e nella necessità di mutare per sopravvivere.
Risulta singolare come le dimensioni biologiche del virus siano per certi versi assimilabili alle dimensioni del vissuto umano che in questi tempi sperimentiamo dentro e fuori di noi; e risulterebbe, magari, altrettanto singolare notare come, da una più attenta esplorazione possano emergere indicazioni e strategie per noi utili nel traghettare questo particolare momento.
Mi riferisco, nella fattispecie, ai concetti di fragilità, incertezza, dipendenza ma anche a quelli di ri-centratura, opportunità, connessione.
Abbiamo paura, paura per la nostra e altrui salute, paura di perdere i riferimenti di certezza, serenità, stabilità su cui avevamo fondato la nostra vita personale e professionale.
Siamo disorientati, tutti e a tutti i livelli, e nel disorientamento cerchiamo di trovare le risposte in ciò che ci è noto e familiare o ci attendiamo che qualcuno ce le dia.
Stiamo costretti in un bizzarro isolamento, cui resistiamo come se ci venisse chiesto di cavare massi da una miniera, sopraffatti da un’onda digitale che invade tempi e spazi e che stiamo imparando con fatica a cavalcare.
Ma se tutto questo è reale c’è anche dell’altro che rischiamo di non afferrare.
In questo acrobatico esercizio di volatilità, su cosa possiamo contare?
Nell’assoluta incertezza, quali le certezze di questo stravagante tempo?
- E’ il tempo dell’uguaglianza: i sentimenti e i pensieri che ci attraversano sono uguali per tutti. Mai ci siamo sentiti cosi simili e nella similitudine, solidali, connessi. La pandemia livella.
- E’ il tempo del fare: nell’essere concretamente impegnati troviamo in qualche modo senso e orientamento. Stiamo nell’apprendimento continuo, nella sperimentazione fattiva.
La pandemia ci “aumenta”. - E’ il tempo del buonsenso: ci troviamo a riconsiderare i nostri bisogni primari, a rivedere ciò che si dava per scontato. A rivalutare pesi e misure. In un ritorno alle basi, all’essenziale, resettiamo le priorità.
La pandemia schiaccia la piramide di Maslow. - E’ il tempo dell’autenticità: nella crisi emergono con forza i principi più profondi che ci guidano. Gli individui si manifestano nella loro purezza e ciò, al di là del bene e del male, rivela e orienta. E’ tempo di conti e bilanci, di “lettura” consapevole di sé e degli altri.
La pandemia qualifica. - E’ il tempo della sensorialità: la disponibilità del tempo sospeso, la lentezza, l’assenza di contatto e di movimento stanno acuendo la nostra recettività sensoriale. La nostra percezione del fuori e del dentro è potenziata. Siamo in un tempo di ascolto.
La pandemia amplifica.
Ma la certezza più grande è che ci abitueremo all’incertezza.
Siamo animali abitudinari e adattivi; il tempo ci darà una mano a chiarire i nuovi perimetri di gioco, codificare le nuove regole, dotarci di nuove competenze e abilità per riorientarci nel nuovo e renderlo più familiare e percorribile.
Riducendo la prospettiva di osservazione, in che modo questo sentiment collettivo impatta sui sistemi professionali? Cosa accade invece alle organizzazioni, a chi ha responsabilità di guida e governo, alle persone e ai team di lavoro? Quali le reazioni? Quali i bisogni?
Anche in questo caso, la certezza è che il presente è già futuro; la chiarezza di ciò che sarà la costruiremo giorno per giorno. La predittività è un’opzione piuttosto labile.
I paradigmi del passato probabilmente non saranno più funzionali, dovremmo ripensare i modelli di business, i modelli di servizio, i famosi touchpoint, e di conseguenza rivedere i modelli di competenze e, non di meno, ridefinire i perimetri e i contenuti del ruolo dei Leader.
Questi ultimi sono tra i bersagli preferiti dello sconvolgimento prodotto dal regale virus.
Il disorientamento nei leader è qui comprensibilmente declinato in tutte le sfumature possibili: ansia di controllo, paralisi e assenza, goliardia e animazione dei team, attivismo creativo, vigile attesa, lucida focalizzazione, etc..
Il tentativo di realizzare una soluzione che immunizzi i nostri leader dal pericolo dell’incertezza è pressoché utopico, analogamente all’immaginare soluzioni strategico-organizzative prêt-à-porter e applicabili indistintamente in tutti i contesti.
La riflessione sulla Ledership del futuro andrà pertanto condotta guardando la peculiarità di ciascun contesto organizzativo con filtri di osservazione nuovi, che tengano conto dell’impatto delle nuove variabili (contatto/ distanza ad esempio, digital, etc) sulle principali dimensioni del business (il sistema di relazioni – lavalueproposition ad esempio).
Certamente esistono delle evidenze che orientano efficacemente le azioni nell’immediato: imparare gestire l’impatto del digital e dello smartworking, riconfigurare le relazioni professionali a distanza, governare lo stato emotivo e ripianificare i modelli operativi per garantire sostenibilità e sopravvivenza.
Ciò fatto, sarà determinante che i leader maturino degli sguardi più consapevoli relativamente ad alcune istanze emerse dalla contemporaneità e che sviluppino anticorpi in grado di sostenere la riconfigurazione e l’efficacia del ruolo nel futuro prossimo.
I leader giocheranno d’ora in poi la loro partita attorno al tema della fiducia:
in un futuro che sarà, se non proprio contactless, certamente diversamente contact, avremo bisogno di ripensare il concetto di fiducia, attualizzandone i significati e gli impatti sulle strategie di business e sui sistemi di relazione professionale.
La Leadership, pertanto, si configura sempre più come una dimensione situazionale e ibrida, che ha incluso e accolto l’incertezza, ha familiarizzato con la volatilità dei tempi e che si declina flessibilmente a partire da alcune milestones, figlie dei recenti accadimenti:
- costruire relazioni di fiducia fondate sulla credibilità, ossia sul riconoscimento di competenza e affidabilità. Un leader è credibile quando dimostra di comprendere i rischi e le conseguenze di situazioni e circostanze e su questo orienta le proprie decisioni;
- agire la trasparenza: concetto strettamente correlato alla fiducia. Oggi più che mai ciò vuol dire fornire informazioni oggettive, quanto più specifiche e dettagliate. Stare su un piano di realtà facendo attenzione a non veicolare ambiguità nel tentativo di addolcire la pillola.
- valorizzare e integrare le differenze nel proprio team. Nell’incertezza, la pluralità di competenze e abilità aumentano le chance di trovare soluzioni efficaci e utili ad emergere dalle criticità sistema.
- puntare sui “Mismatcher”: accogliere sistematicamente la “critica” come elemento integrato della strategia decisionale. Abbandonare il conforto egotico degli “yes man” e rendersi coraggiosamente disponibile al mettere in discussione le proprie idee e convinzioni, come passaggio di valore, arricchimento e validazione.
- coltivare l’irrequietezza o sostenere gli “irrequieti”, coloro che nel team naturalmente tendono a mettere in discussione lo status quo con la volontà di riscrivere le regole.“Gli Irrequieti, sono proprio coloro che toccano le corde giuste ma che non riescono ad essere efficaci perché il sistema aziendale attuale è molto spesso “difensivo”- E. Capellino – Head of C.S. CNH Industrial
- stabilire connessioni: non è più tempo di star da palcoscenico, né della solitudine di ego ipertrofici, né di carbonerie varie e variegate. La capacità di stare connessi sarà determinante per il successo futuro, come cita Rüdiger Fox, ceo di Sympatex: “dobbiamo imparare a sostenerci a vicenda, perché ora siamo intensamente interconnessi e quindi direttamente o indirettamente dipendenti l’uno dall’altro. Se continuiamo a concentrarci sulla massimizzazione dei nostri interessi a breve termine, saremo lasciati soli nella prossima crisi. E dovremmo iniziare qui con i nostri dipendenti”.
- rifondare dalle basi: abbandonare i sistemi complessi e ripartire dall’essenziale; il presupposto qui è avere la capacità di riconoscere, individuare nella semplicità ciò che conta veramente, l’essenza.
Nella viralità di questo tempo, dunque serve fidarsi; serve restare interconnessi; serve diventare abili nella responsività, flessibili e veloci; serve essere competenti, serve imparare a procurarsi quel respiro di salubrità attraverso azioni e comportamenti in cui ci riconosciamo e soprattutto serve imparare a surfare l’onda perché sappiamo tutti che è lì che staremo per un po’, uomini e leader che sia.
ThankyouMr Covid19.
Scritto da:
Marinella Pulvirenti
Senior Consultant di Hermes Consulting