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  • alt="Innovazione Felix e impatto ambientale nell'intelligenza artificiale"

    Innovazione “Felix”: La voce di Hermes Consulting

    INTRODUZIONE

    Nel contesto di una riflessione approfondita sull’innovazione tecnologica e le implicazioni etiche e ambientali, Giulia Terracciano, Responsabile della Comunicazione in Hermes Consulting, ha avuto l’opportunità di esplorare queste tematiche in un’intervistata approfondita con Vincenzo Di Martino, Consultant & Coach in Hermes Consulting ed esperto nel campo.

    L’intervista ha affrontato temi chiave:

    • Impatto ambientale dell’AI, spesso sottovalutato nel dibattito politico;
    • Crescente desiderio di un ritorno ai valori umani;
    • La necessità da parte delle nuove generazioni di un equilibrio tra innovazione e sostenibilità.

    Un momento di luce su come possiamo guidare l’innovazione tecnologica verso un futuro più “felix”.

    Giulia: Vincenzo, quali sono, secondo te, i principali aspetti dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società e sull’ambiente che la percezione pubblica tende a sottovalutare?

    Vincenzo: Più che una sottovalutazione del problema ambientale, credo semplicemente che non venga quasi preso in considerazione questo tema, o meglio che se ne parli davvero troppo poco a livello di dibattito pubblico e aziendale.

    Eppure, gli studi sull’impatto ambientale delle nuove tecnologie sono chiari e consolidati.

    Ad esempio, uno studio pubblicato in diverse riviste scientifiche e depositato all’ONU, intitolato Making AI less: Thirsty: Unicovering and Addressing the Secret Water Footprint of AI Models”, evidenzia il problema dell’acqua nello sviluppo dell’IA.

    Per addestrare modelli come GPT-3, nei moderni data center staalt="Innovazione Felix e impatto ambientale nell'intelligenza artificiale"tunitensi di Microsoft, si utilizzano circa 700.000 litri d’acqua dolce pulita, equivalenti alla produzione di circa 370 auto BMW o 320 auto Tesla.

    In un momento in cui rapporti come quelli di Amnesty International denunciano che oggi molte persone diventano profughi a causa della mancanza di acqua, definendolo come fenomeno di migrazione climatica.

    Un altro dato significativo riguarda il consumo di energia e le emissioni di CO2. L’addestramento di GPT-3 ha consumato circa 1.287 MWh e ha portato a emissioni di oltre 550 tonnellate di anidride carbonica, equivalenti a 550 voli andata e ritorno New York-San Francisco.

     

    Con l’evoluzione verso GPT-4, che richiede più parametri, i consumi energetici aumentano ulteriormente.

    Giulia: Quali passi dovrebbero essere intrapresi per allineare meglio la percezione con la realtà?

    Vincenzo: È necessario sensibilizzare le persone e formare adeguatamente sia chi sviluppa la tecnologia sia chi la utilizza. Andrebbe diffusa una cultura di consapevolezza rispetto all’intelligenza artificiale. Oltre a migliorare l’addestramento degli strumenti, è importante riflettere in modo serio sull’impatto ambientale di queste tecnologie.

    Le persone devono essere informate e coinvolte in un dialogo consapevole sull’argomento.

    Giulia: In riferimento a questo correre dietro all’innovazione, si è osservato un ritorno ai valori umani. Le persone si stanno interrogando sulle proprie capacità e sul proprio essere, chiedendosi: “Quale posto occupo io? Quale contributo posso dare al mondo ora che le tecnologie possono fare le cose al posto mio?” Secondo te, perché sta avvenendo tutto questo?

    Vincenzo: C’è un recupero di quella che in filosofia si chiama “opzione fondamentale”: la scelta personale su chi siamo e cosa facciamo in questo mondo.

    La felicità, intesa come realizzazione del proprio potenziale, è un concetto che risale ai latini.

    Ad esempio, un campo o un albero felix era considerato tale quando produceva i frutti che era destinato a produrre.

    Un albero di mele è felix se genera mele, non se genera fragole, indipendentemente da quanto buone possano essere le fragole.

    Questo concetto si applica anche alle persone: ciascuno di noi deve realizzare il proprio potenziale unico per trovare la propria felicità e il proprio posto nel mondo.

    Le persone stanno recuperando questa consapevolezza, riflettono sul proprio contributo unico alla comunità umana. Le giovani generazioni, in particolare, stanno riscoprendo la relazionalità costitutiva dell’essere umano. Gli strumenti tecnologici rischiano di toglierci questa qualità, e i giovani stanno facendo da campanello d’allarme, chiedendo di recuperare un modo di stare insieme di qualità.

    Questo desiderio di etica è chiaro nei giovani, specialmente riguardo all’ambiente.

    La sfida è tradurre questa voglia di etica in scelte concrete e pragmatiche.

     

    Giulia: Secondo te le nuove generazioni stanno mettendo in moto una salvaguardia dell’ecosistema e di sé stessi, evitando che si arrivi alla deriva?

    Vincenzo: Assolutamente sì. Prendersi cura di sé è un atto etico fondamentale.

    Dal momento in cui sto meglio io, stanno meglio anche le persone che si relazionano con me.

    Questo concetto sta entrando anche nel mondo aziendale, dove i giovani non sono più disposti a rinunciare a valori profondi per il lavoro. Le aziende dovrebbero sostenere questa attenzione e aiutare anche le generazioni più adulte a recuperarla, evitando che le persone si ammalino o siano insoddisfatte. È importante creare un ambiente lavorativo dove si faccia cultura e si promuova l’incontro e il dialogo tra le persone.

     

     

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  • WORK-LIFE BALANCE: DALLA GENITORIALITÀ AL CAREGIVING – NUOVE FRONTIERE DEL WELFARE AZIENDALE

    Introduzione

    Le politiche di welfare aziendale stanno attraversando un periodo di significativo cambiamento, con un’attenzione crescente verso il Work-Life Balance (WLB).

    Il concetto di Work-Life Balance si riferisce alla capacità delle persone di gestire efficacemente il lavoro e la vita privata.

    Storicamente, queste politiche si sono concentrate principalmente sui genitori, ma oggi emerge la necessità di un approccio più inclusivo.

    I cambiamenti degli scenari globali hanno evidenziato il bisogno delle organizzazioni di adattarsi alle nuove esigenze e priorità delle persone.

    Secondo i dati ISTAT 2023l’Italia ha registrato un nuovo record nel calo delle nascite, con 197.000 nascite in meno rispetto al 2008 (72% in meno).

    Questo fenomeno non è isolato all’Italia, ma è osservabile in molti paesi occidentali, dove le priorità stanno cambiando e la vita sta assumendo forme diverse.

    Questi dati pongono importanti interrogativi:

    • Qual è il mindset di oggi?
    • Quali forme di responsabilità si evolveranno maggiormente domani?
    • Quali punti d’attenzione?

    Qual è il mindset di oggi?

    Con il calo della natalità, si registra un aumento significativo di lavoratori e lavoratrici che scelgono di non diventare genitori. Tuttavia, la cultura attuale spesso riserva importanti stereotipi a queste scelte di vita.

    In molti contesti lavorativi, le persone senza figli sono viste come “senza qualcosa”, ossia senza impegni che giustificherebbero un minore bisogno di supporto per l’equilibrio vita-lavoro.

    Questo stereotipo (bias) riguarda maggiormente le donne senza figli.

    A livello sociale, persiste la convinzione che una donna raggiunga la piena realizzazione solo attraverso la maternità, un bias che tende a oscurare altre forme di realizzazione personale e professionale.

    La ricerca di Verniers (2020) e Ashburn-Nardo (2016) ha dimostrato che le persone senza figli, indipendentemente dal genere, sono percepite in modo meno favorevole rispetto a coloro che sono genitori. Questo perché la scelta di non avere figli è vista come una violazione delle norme sociali, portando alla visione stereotipata che chi non ha figli abbia più tempo da dedicare al lavoro.

    In che modo valutiamo la meritevolezza di supporto?

    La percezione della meritevolezza e il giudizio sociale sono processi complessi che coinvolgono diverse aree del cervello. Le neuroscienze hanno identificato alcune aree chiave implicate in questi processi:

    Corteccia Prefrontale Mediale: coinvolta nella valutazione di sé e degli altri, nella presa di decisioni morali e nel giudizio sociale;

    Corteccia Cingolata Anteriore: contribuisce alla valutazione delle emozioni e alla regolazione delle risposte emotive

    Amigdala: importante per la risposta a stimoli emotivamente significativi

    Insula: coinvolta nella consapevolezza delle emozioni e nella percezione del disgusto e di altre emozioni negative.

    Queste aree lavorano insieme per formare giudizi complessi riguardanti la meritevolezza delle persone. Ad esempio, quando valutiamo se un collega merita maggiore supporto, la Corteccia Prefrontale Mediale può essere coinvolta nella valutazione delle sue esigenze e dei suoi contributi, mentre la Corteccia Cingolata Anteriore e l’Amigdala possono influenzare le nostre risposte emotive a tale valutazione.

    Un ulteriore esempio comune riguarda gli anziani, considerati maggiormente meritevoli di supporto per i contributi dati alla società e al mercato del lavoro. Al contrario, i disoccupati sono percepiti meno meritevoli, talvolta perché il loro status è attribuito a una mancanza di sforzo personale.

     

    Lo studio di Filippi e colleghi (2020) ha evidenziato che i dipendenti con figli sono spesso considerati più meritevoli di supporto per il Work-Life Balance rispetto ai loro colleghi senza figli. Questo bias si riflette anche nelle valutazioni delle donne, dove le madri sono viste come maggiormente bisognose di flessibilità rispetto alle donne senza figli.

    È fondamentale riconoscere che la vita privata delle persone senza figli può essere altrettanto piena di attività come quella di un genitore. Hobby, cura personale, volontariato, studio o semplicemente tempo libero contribuiscono al benessere e alla produttività generale del lavoratore o della lavoratrice.

    Quali forme di responsabilità si evolveranno maggiormente domani?

    Il Caregiving è l’attività di assistenza e cura prestata a una persona non autosufficiente, che può essere un familiare, un amico o una persona cara con disabilità, malattie croniche o anzianità.

    Questo ruolo, svolto principalmente dai familiari, include una vasta gamma di attività, dall’assistenza fisica e sanitaria al supporto emotivo e organizzativo.

    Secondo le stime della Commissione Europea, il valore delle ore di assistenza a lungo termine fornite dai caregiver informali è pari a circa il 2,5% del PIL dell’Unione Europea, una cifra superiore alla spesa pubblica per l’assistenza a lungo termine (Adecco Italia).

    In Italia, il 15,4% della popolazione fornisce cure o assistenza almeno una volta a settimana, con una maggiore incidenza tra le donne (17,6%) rispetto agli uomini (12,9%).

    Questo dato evidenzia che, nonostante molte persone scelgano di non avere figli, non sono esenti da responsabilità di caregiving. Infatti, un numero significativo si trova a prendersi cura di familiari anziani o malati. Queste persone, oltre a coltivare le loro passioni personali, dedicano una parte considerevole del loro tempo e delle loro energie alla cura quotidiana di parenti non autosufficienti.

    Il ruolo di caregiver familiare si estende ben oltre la genitorialità, includendo una vasta gamma di attività di assistenza che influenzano profondamente la vita quotidiana e il benessere psicofisico di chi lo svolge.

    Questo impegno, spesso sottovalutato, è cruciale per il supporto delle persone care e necessita di un riconoscimento e un supporto adeguato dalle politiche di welfare aziendale.

    Quali punti di attenzione?

    Il primo passo da compiere è riconoscere il valore e le esigenze delle persone, indipendentemente dal fatto che siano genitori o meno.

    Offrire flessibilità e supporto a tutti i dipendenti, considerando le diverse forme di responsabilità di cura, può migliorare significativamente il benessere e la produttività sul posto di lavoro.

    In un mondo in cui le priorità e le forme di vita cambiano, le aziende possono scegliere di adottare un approccio inclusivo e adattabile alle diverse esigenze dei loro dipendenti.

    Senza dimenticare le prospettive del futuro, una popolazione che invecchia e le nascite diminuiscono, per arrivare al domani nel miglior modo possibile.

    Conclusioni

    Le aziende hanno l’opportunità di creare un ambiente di lavoro più inclusivo e sostenibile, che valorizzi ogni dipendente e le sue specifiche esigenze. Riconoscere il valore del caregiving e delle altre forme di impegno personale e professionale contribuirà a costruire organizzazioni più resilienti e soddisfatte, capaci di rispondere alle sfide del domani.

     

    Clicca qui per ulteriori approfondimenti: https://mailchi.mp/hermesconsulting.com/work-life-balance-avere-o-non-avere-figli-quali-impatti

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  • IL SENSO DI SICUREZZA E L’EREDITÀ DI BRUNELLESCHI

    INTRODUZIONE

    Nella Firenze del XV secolo, Filippo Brunelleschi si trovava di fronte a un’impresa senza precedenti: costruire la cupola del Duomo di Firenze, un progetto che avrebbe richiesto non solo ingegnosità architettonica ma anche un nuovo approccio alla gestione del lavoro.

    Il punto di partenza era: “Come riuscire a costruire la Cupola e riducendo al minimo i rischi, data la forma particolarmente complessa e ancora incompiuta rispetto al resto dell’edificio?”

    Quando la cupola raggiunse il punto di massima curvatura, la salita e la discesa, anche più volte al giorno, dalla stessa, divennero seriamente difficoltose, gli operai dovevano affrontare il periglioso viaggio verso il suolo e viceversa. Data la situazione impervia e pericolosa, Brunelleschi, con una visione pioneristica per quei tempi, istituì la prima mensa lavorativa a 104 metri di altezza, riducendo le discese e le risalite durante l’arco della giornata.

    Questa soluzione, apparentemente semplice, rifletteva una profonda comprensione delle esigenze umane e della gestione efficiente delle risorse. Brunelleschi non solo ottimizzò il tempo e l’energia degli operai, ma migliorò anche il loro benessere, dimostrando una cura e un rispetto per il lavoro e la persona che, sebbene oggi possano sembrare ovvie, all’epoca rappresentò un approccio rivoluzionario.

    Questo gesto, fra tanti altri, anticipò i principi di ergonomia e di sicurezza sul lavoro, ponendo le basi per quello che oggi chiamiamo welfare aziendale, un concetto che sottolinea come la cura dei lavoratori sia direttamente collegata alla produttività e alla qualità del lavoro svolto. In questo modo, Brunelleschi non solo lasciò al mondo un capolavoro architettonico, ma anche una lezione senza tempo: per edificare grandi cose, prima di tutto, dobbiamo assicurarci che le fondamenta siano solide e resistenti ma al contempo occorre valutare in ogni dettaglio il modo con cui le persone che vivono i luoghi di lavoro si adoperano.

     

    LA SICUREZZA PSICOLOGICA COME BASE DEL BENESSERE ORGANIZZATIVO

    Da quando nasciamo e apriamo gli occhi, a quando muoviamo i primi passi, chi ci circonda si preoccupa di rendere l’ambiente in cui agiamo sicuro.

    PIRAMIDE MASLOW E CUPOLA

    La sicurezza rientra tra i bisogni fondamentali dell’essere umano, subito dopo le necessità fisiologiche, come mangiare e dormire. Questo è ciò che descrive A. Maslow con la sua Piramide dei Bisogni.

    L’organizzazione che valorizza la sicurezza psicologica crea l’ambiente giusto nel quale le persone si sentono incoraggiate a condividere le proprie opinioni, a sperimentare e, soprattutto, a imparare dagli errori.

    Il senso di protezione lo cerchiamo anche in altri contesti della nostra vita, come ad esempio nell’ambiente lavorativo, all’interno del quale le persone vogliono sentirsi sicure, libere da minacce fisiche e psicologiche. Solo nel momento in cui tale livello di sicurezza è garantito, emergono creatività, disponibilità all’innovazione e l’impegno autentico al cambiamento.

    Proprio come il bambino che conta sul supporto dei caregiver che gli assicurano lo spazio di esplorazione, azione e interazione nel quale muoversi.

    La “sicurezza psicologica” è un concetto introdotto da Amy Edmondson, professoressa di leadership e gestione alla Harvard Business School, definendola come: “La convinzione di poter esprimere liberamente idee, dubbi, preoccupazioni o errori senza timore di penalizzazioni o umiliazioni”.

    Questo ambiente di apertura e fiducia è il terreno fertile in cui normalmente germogliano innovazione e collaborazione.

    Si accelera così il processo di apprendimento collettivo e si rafforza anche il senso di appartenenza, di coesione interna, di squadra.

    Un ambiente sicuro dal punto di vista psicologico richiede un impegno costante da parte dei leader aziendali che dovranno essere agenti attivi per lo sviluppo di una cultura condivisa volta al rispetto reciproco e all’inclusività. Significa anche riconoscere e valorizzare il contributo di ogni singolo individuo, incoraggiando una comunicazione aperta e senza filtri.

    Così si costruiscono solide fondamenta e un benessere organizzativo efficace e produttivo, del tutto molto simile a quanto sperimentato da Brunelleschi per erigere la sua cupola.

    Il Nuovo Rinascimento del Benessere Aziendale

    Potremmo definirlo così quindi, le aziende, per costruire i loro successi economici dovranno costruire anche ambienti di lavoro che favoriscano il benessere e la realizzazione personale dei loro collaboratori ovvero assicurare un ascolto psicologico per comprendere i bisogni e liberare tutto il potenziale creativo ed energetico dei propri collaboratori.

    La domanda che ogni leader dovrebbe porsi è: “Come posso contribuire a costruire una “cupola” del benessere nella mia organizzazione, seguendo l’esempio di Brunelleschi?”

    La risposta a questa domanda non è semplice, ma riuscirci significherebbe tracciare un percorso verso un futuro del lavoro ispirato, sicuro, pienamente umano e di successi aziendali.

     

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  • persone con finestra

    Da contenitore a contenuto: benessere e socialità sul luogo di lavoro

    Introduzione

    Vi siete mai chiesti come prospera un’azienda? Avete mai elencato gli elementi che più vi occorrono per essere felici? Vi siete domandati quali di essi ritrovate nel vostro lavoro e come è cambiata la composizione di questi elementi al variare dell’equilibrio di vita e di lavoro post-pandemia? In questo articolo parleremo di benessere, di felicità, di prosperità, ma anche di cambiamento; di luogo e di senso.

    Che cos’è il Lavoro per Noi

    Il lavoro ha sempre costituito un’esperienza preziosa nella vita della maggior parte degli esseri umani; tanto che al di là di un dovere e di un diritto, per molti è un bisogno poiché permette di arrivare a un senso di interezza, di raggiungere una maggiore sicurezza, di comunicare agli altri chi siamo.

    Esso si colora di molteplici significati, scandisce il nostro tempo e le nostre attività, è un sistema sociale nel quale le persone interagiscono quotidianamente, che ha norme e rituali condivisi. Il lavoro ci permette di definire il nostro status sociale e contribuisce a formare l’identità personale.

    È un punto di riferimento per riconoscersi, per arricchire o confermare il proprio modo di concepire sé stessi. Si tratta di uno spazio di espressione ampio e potente, attraverso il quale crescono la nostra competenza, la nostra autonomia e il nostro senso di scopo.

    Quando ci sentiamo soddisfatti e motivati nel lavoro che svogliamo e percepiamo di essere in sintonia con obiettivi, mission e vision dell’azienda, scopriamo che quest’agenzia di socializzazione per noi assolve alcuni dei bisogni fondamentali per il nostro benessere psicologico

    La famosa psicologa Carol Ryff identifica 6 bisogni chiave per la nostra felicità, ed è possibile che ogni persona, all’interno della sua organizzazione, riesca ad assolverli tutti, in proporzione più o meno alta:

    • Accettarsi ed esprimersi, provando soddisfazione verso di sé e verso la propria vita avendo consapevolezza delle proprie qualità.
    • Sentirsi Autonomi, avendo la capacità di prendere decisioni, di regolare il proprio comportamento in modo coerente con i propri valori e obiettivi, sentendosi in controllo della propria vita.
    • Vedersi crescere avendo l’opportunità di una ricerca continua di sviluppo, nell’accoglienza di nuove sfide ed esperienze.
    • Sentirsi in agio nel proprio ambiente, un luogo che include aspetti fisici, sociali e culturali, su cui esercitiamo un’influenza e a cui ci sentiamo di appartenere, perché al suo interno condividiamo esperienze e tracciamo relazioni con altre persone.
    • Sentirsi parte di un gruppo, coltivando relazioni di prossimità. La qualità delle relazioni interpersonali e il sostegno sociale che si riceve dagli altri ci fanno sentire bene. Le interazioni quotidiane nel contesto organizzativo favoriscono il cambiamento comportamentale, promuovono l’empowerment personale e permettono di negoziare le proprie differenze. In questo contesto, l’empatia gioca un ruolo fondamentale, riduce i pregiudizi, ci rende reattivi ai bisogni degli altri, catalizza la costruzione di relazioni di supporto e fiducia.
    • Riconoscere ed esprimere il proprio scopo; sentire un senso profondo, un significato nel proprio agire e intuire la direzione migliore per la propria vita, tracciando obiettivi con più chiarezza e delineando la propria visione con passione e lungimiranza.

    L’Incidenza del Luogo di Lavoro

    Ma quanto incide la fisicità del luogo sull’espressione di questi elementi?

    Se li leggiamo con attenzione intuiamo subito come la distribuzione di questi fattori cambia velocemente nell’era dell’Hybrid Work: alcuni crescono a vista d’occhio, altri calano allo stesso ritmo.

    Per le persone la possibilità di esprimersi, di accettarsi, di scambiare, di collaborare è fortemente legata all’attaccamento verso il luogo in cui le azioni prendono vita.

    L’organizzazione esprime in ogni momento una propria cultura, ha un’identità e obiettivi istituzionali e spesso veicola tutto questo senza bisogno di parole scritte.

    È proprio come un “organismo vivente”, dove individuo e azienda non sono separati e separabili, anzi i funzionamenti dell’uno trovano parallelismi e interazioni complessi con quelli dell’intera azienda. Si influenzano continuamente, senza esserne consapevoli.

    Possiamo immaginare un’energia sottile e diffusa, che alimenta il tessuto delle relazioni, rendendo le piccole parti dell’azienda un’unica squadra

    Tutto questo accade perché esiste un contenitore, fatto di pareti, di porte e finestre dove si scambia continuamente, dove ci rispecchiamo “letteralmente”. Quando eravamo bambini era la scuola, poi diventa il lavoro.

    Ci imitiamo, ci sintonizziamo, ci capiamo, ricevendo continuamente qualcosa dagli altri. Viviamo un senso di esperienza condivisa.

    Nelle stanze nasce una risonanza, che ci consente di eseguire i compiti, risolvere i problemi, collaborare, in modo coordinato e connesso.

    Quando le Pareti Diventano Finestre Liquide

    Cosa succede quando il luogo fisico si dematerializza?

    È ovvio che il senso di appartenenza, un tempo associato principalmente a un luogo fisico e a un gruppo di persone sempre presenti, sta vivendo una trasformazione significativa. È altrettanto evidente che il nostro benessere psicologico deve essere coltivato con una nuova attenzione.

    Stiamo passando da forma a sostanza, da contenitore a contenuto, da spontaneità a intenzionalità.

    Perdiamo il controllo sull’ambiente, acquistiamo maggiore autonomia, abbiamo maggiore possibilità di esprimerci individualmente e meno occasioni per mostrarlo agli altri e avere un riscontro del nostro operato. Possiamo e vogliamo crescere, ma la velocità aumenta e i nostri progressi sono sotto ai nostri occhi e poco agli occhi degli altri.

    Non possiamo fare le pause caffè ma possiamo scegliere di incontrarci e collaborare.

    Possiamo scegliere di sperimentare, possiamo decidere di condividere

    Molti processi, di socializzazione, di identificazione, di crescita, prima erano spontanei, oggi non lo sono più, richiedono un approccio intenzionale per essere costruiti insieme.

    Se non è più possibile identificare una cultura che nasce spontaneamente in un contesto fisico, oggi abbiamo l’opportunità di crearla insieme alle persone che vivono l’azienda, radicando nella loro consapevolezza e nel loro agire il senso delle attività che svolgono.

    È fondamentale avere una cultura condivisa e un significato comune per sentirsi squadra.

    Oggi è l’unica cosa che può tenerci davvero uniti.

    Inoltre, le neuroscienze ci dimostrano che il senso di appartenenza ad un’azienda è strettamente legato alla capacità di condividere una visione comune e un significato condiviso. Quando le persone si sentono parte di un obiettivo più ampio, la loro esperienza diventa più piacevole e coinvolgente. La fiducia aumenta, e si crea un legame più profondo tra i membri dell’organizzazione.

     Oggi l’intenzionalità di costruire insieme, di valorizzare le relazioni e di creare un ambiente in cui il significato sia condiviso diventa essenziale per il successo delle organizzazioni nel 2023.

     Conclusione

    In conclusione, nell’era del lavoro ibrido, l’intenzionalità di costruire un ambiente di lavoro basato su significati condivisi diventa essenziale per la soddisfazione dei dipendenti e il successo delle organizzazioni. La cultura dell’azienda e la comunicazione interna giocano un ruolo cruciale nel plasmare il benessere, il senso di appartenenza e il coinvolgimento dei lavoratori.

    Processi di visioning, di identificazione del Purpose, di co-costruzione della mission, di condivisione dei valori hanno un’importanza davvero alta nel determinare l’unione delle persone, la loro motivazione e la performance dell’azienda.

    Creando un ambiente in cui le persone si sentono parte di un senso più ampio, l’organizzazione può prosperare e affrontare con successo le sfide del futuro.

    Oggi è fondamentale partire dai perché, dai valori, da ciò che per le persone è più importante.

    Se non esiste più un contenitore, delle relazioni, degli scambi, delle persone, è il contenuto che fa la differenza. È Il perché.

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