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  • LA MAGIA DELL’OUTDOOR CULTURALE®: UNA METAFORA CHE TRASFORMA

    HBR: Il sogno della maggior parte degli Amministratori Delegati e degli HR Manager è trovare una forma di “magia”, che aiuti le persone a cambiare facilmente mentalità, per adattarsi in tempi rapidi ai cambiamenti con pensieri e comportamenti nuovi, per un mondo che grida evoluzione.

    Chiediamo a Hermes Consulting, Società Benefit di Firenze, che da 30 anni accompagna i cambiamenti nelle aziende. Come affrontate questo bisogno di magia?

    Monia Russo Partner di Hermes Consulting parla dell'approccio Outdoor Culturale per il cambiamento aziendale

     Monia Russo, Partner di Hermes: Abbiamo sviluppato una metodologia proprietaria a questo scopo, chiamata Outdoor Culturale®.

    Una storia che a mio avviso racconta gli effetti di questa magia è quella di un AD di un gruppo internazionale General Contractor, che avendo cambiato la struttura organizzativa, doveva convincere i 5 Direttori Generali delle diverse country a collaborare, condividere le grandi attrezzature per le costruzioni e armonizzare le risorse nella gestione delle gare di appalto.

    Dopo più di un anno di tentativi non andati a buon fine, ci ha contattati per capire cosa ci fosse “che non andava in queste persone” perché non riusciva a farle lavorare in un modo diverso.

    Abbiamo incontrato ad uno ad uno i Direttori e abbiamo progettato un offsite di due giorni a Siena, con una visita ispirativa al ciclo di affreschi del Bene Comune di Ambrogio Lorenzetti, che si trova nel Museo Civico della città.

    Attraverso una narrazione, impostata sul costrutto metodologico delle metafore ericksoniane, abbiamo ricalcato la situazione che ci avevano raccontato l’Amministratore e i Direttori in fase di analisi.

    Sempre attraverso la narrazione dell’opera, abbiamo suggerito e ispirato delle soluzioni, in linea con quanto prevedeva la riorganizzazione aziendale.

    Nel momento della riflessione, successiva alla visita, l’Amministratore Delegato è rimasto molto colpito dal cambiamento che il gruppo ha manifestato.

    Uno degli episodi più rappresentativi di questa trasformazione, è stato quando il più anziano dei Direttori, anche il più resistente, ha trovato, grazie alle suggestioni della metafora, una forte connessione con il proprio lavoro: “Avete visto cosa facevano i contadini di Siena? Condividevano le macchine e risparmiavano, potremmo farlo anche noi!”.

    La magia è stata che da quel giorno, l’implementazione del sistema matriciale si è realizzata con molta più facilità e i Direttori, durante la gestione degli appalti, hanno iniziato a scambiarsi buone pratiche e macchinari.

    Come scatta la magia?

    Alessandro Rizzi ideatore metodologia Outdoor Culturale Hermes Consulting

    Alessandro Rizzi, uno degli ideatori della metodologia: Portiamo i Team reali o interfunzionali, a vivere esperienze a stretto contatto con la storia dell’arte, dentro installazioni artistiche, mostre e capolavori dell’architettura.

    La struttura dell’Outdoor Culturale® riesce, attraverso il potere della metafora, ad accendere la sfera emotiva della mente, risvegliando così la motivazione e la proattività delle persone, stimolandone anche il pensiero critico e razionale.

    Ottiene come prodotto l’accelerazione dei cambiamenti richiesti dal contesto e il raggiungimento più facile dei risultati. Grazie agli stimoli che le metafore artistiche creano, le persone vivono un momento di consapevolezza, che permette loro di vedere agite le proprie dinamiche di comportamento, scorgendo nuove soluzioni, trovando punti di convergenza e immaginando assieme futuri possibili.

    Questo approccio utilizza l’isomorfismo (una corrispondenza di forme e strutture) tra l’esperienza dell’azienda e la rappresentazione artistica, per aprire finestre inedite e produrre salti di pensiero più veloci.

    Come costruire le metafore in modo che siano efficaci?

    Monia Russo: Ogni narrazione artistica viene costruita in modo che il “sentire di una realtà aziendale”, che raccogliamo attraverso interviste e focus group, sia traslato nella storia, così che si crei un rispecchiamento nei partecipanti e si possa creare un collegamento tra l’esperienza metaforica raccontata e il futuro che l’azienda desidera perseguire.

    Questo permette di vivere la propria storia aziendale collegata a valori e scopi personali, consente di vedersi e sentirsi raccontati e infine di osservare il presente e il futuro da un punto di vista esterno. Questo processo intensivo culmina nella proiezione sulla realtà lavorativa, per immaginarla, dopo l’esperienza, in modo diverso e introdurre dei cambiamenti reali.

    L’Outdoor Culturale® dà un’identità precisa ai problemi e la presentazione metaforica della tematica trattata, consente ai partecipanti di arricchire la loro prospettiva, allargare il proprio mindset e la vista, individuando così nuove soluzioni.

    La traduzione del vissuto interiore, in termini razionali, consente di trasferire nel quotidiano quanto appreso metaforicamente.

    L’esperienza genera una sorta di mappa mentale, che permette di affrontare situazioni simili, nella realtà presente e futura, con consapevolezza.

    In questi anni abbiamo sviluppato percorsi con diverse finalità nelle principali città d’arte italiane, che sono delle vere e proprie esperienze magiche!

     

    Perché unite la narrazione metaforica proprio all’arte?

    Alessandro: L’arte ha in sé un codice aperto e arriva dritta al cuore prima ancora di essere “letta”. Ha un linguaggio polisegnico, quindi soggetto a molteplici interpretazioni. Muove processi profondi e permette di lavorare sulla propria realtà, mantenendo una distanza dalla quotidianità, funzionale a superare i propri blocchi e a mettere in risalto i propri vissuti. Permette di partire da ciò che le persone sentono nel profondo e sviluppa strategie di cambiamento radicate in questo sentire.

    Edith Kramer, pittrice e terapeuta, diceva che “l’opera d’arte è un contenitore di emozioni” e Vygotskij, uno dei padri della psicologia, parlava della creatività e dell’immaginazione come elementi necessari per stimolare la ricerca di nuove soluzioni e aprire le porte al cambiamento.

    Pertanto, l’arte non è una fuga dalla realtà, anzi permette di incorniciarla, di conoscerla meglio, guardandola con nuovi occhi, osservandola da punti di vista diversi. Consente inoltre di esprimere concetti che rimarrebbero altrimenti celati e magari censurati, se utilizzassimo solo il canale verbale. L’arte concede il permesso alle persone e alle organizzazioni di pensare in modo diverso, parla una lingua “universale” compresa quella dell’inconscio che è in grado di liberare risorse latenti.

    I progetti migliori non hanno solo una struttura ben studiata, hanno soprattutto un’anima palpabile che prende forma grazie alla combinazione tra metafora terapeutica e arte.

     

    Cosa rende questa metodologia un catalizzatore di progettazioni sostenibili e mirate alla longevità dei contesti organizzativi?

    Diego Piovan Partner di Hermes Consulting parla di sostenibilità e Outdoor Culturale

    Diego Piovan, Partner: La sostenibilità è diventata un imperativo non solo ambientale, ma anche economico e sociale. Richiede una leadership che vada oltre i tradizionali modelli gestionali, che sia piuttosto olistica, adattiva e radicata in una profonda comprensione dei sistemi complessi.

    L’Outdoor Culturale® è in linea con tutte le ultime scoperte legate alla leadership della complessità. La ricerca di Barrett C. Brown (2011), executive coach ed esperto globale sullo sviluppo della leadership, sostiene che solo leader con sistemi di significato avanzati possono progettare e gestire uno sviluppo sostenibile.

    Per prepararli a questa sfida, spiega che le esperienze più formative, partono da una profonda base interiore, radicata in valori e principi che guidano non solo la visione, ma anche la strategia di iniziative sostenibili. Permettono di mettere in gioco risorse interne ed espandono il “sentire”, la recettività e la coscienza.

    Secondo la ricerca di Manners, J., & Durkin, K. (2000), la coscienza si espande a contatto con esperienze rilevanti di natura interpersonale, con un alto impatto emotivo, che vadano oltre le norme e le aspettative esistenti per catalizzare la crescita.

    Questi elementi sono contenuti dell’Outdoor Culturale® che sollecita tutte le 5 dimensioni che, secondo il capostipite della psicologia positiva Martin Seligman, costituiscono ogni esperienza di pienezza: emozioni positive, coinvolgimento autentico ed immersivo, condivisione, senso di scopo e di contribuzione, sperimentazione dell’autoefficacia nel raggiungimento di un risultato.

    Ogni partecipante, così come ogni team, esce profondamente cambiato, in contatto con un nuovo sentire, capace di attivare le risorse per affrontare le sfide della sostenibilità.

    Come possono contattarvi le aziende per organizzare un Outdoor Culturale®?

    Potete scriverci a questi indirizzi:

    Per ulteriori approfondimenti clicca qui:

    Portfolio Outdoor Culturale®

    Approfondimento Outdoor Culturale® 

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  • WORK-LIFE BALANCE: DALLA GENITORIALITÀ AL CAREGIVING – NUOVE FRONTIERE DEL WELFARE AZIENDALE

    Introduzione

    Le politiche di welfare aziendale stanno attraversando un periodo di significativo cambiamento, con un’attenzione crescente verso il Work-Life Balance (WLB).

    Il concetto di Work-Life Balance si riferisce alla capacità delle persone di gestire efficacemente il lavoro e la vita privata.

    Storicamente, queste politiche si sono concentrate principalmente sui genitori, ma oggi emerge la necessità di un approccio più inclusivo.

    I cambiamenti degli scenari globali hanno evidenziato il bisogno delle organizzazioni di adattarsi alle nuove esigenze e priorità delle persone.

    Secondo i dati ISTAT 2023l’Italia ha registrato un nuovo record nel calo delle nascite, con 197.000 nascite in meno rispetto al 2008 (72% in meno).

    Questo fenomeno non è isolato all’Italia, ma è osservabile in molti paesi occidentali, dove le priorità stanno cambiando e la vita sta assumendo forme diverse.

    Questi dati pongono importanti interrogativi:

    • Qual è il mindset di oggi?
    • Quali forme di responsabilità si evolveranno maggiormente domani?
    • Quali punti d’attenzione?

    Qual è il mindset di oggi?

    Con il calo della natalità, si registra un aumento significativo di lavoratori e lavoratrici che scelgono di non diventare genitori. Tuttavia, la cultura attuale spesso riserva importanti stereotipi a queste scelte di vita.

    In molti contesti lavorativi, le persone senza figli sono viste come “senza qualcosa”, ossia senza impegni che giustificherebbero un minore bisogno di supporto per l’equilibrio vita-lavoro.

    Questo stereotipo (bias) riguarda maggiormente le donne senza figli.

    A livello sociale, persiste la convinzione che una donna raggiunga la piena realizzazione solo attraverso la maternità, un bias che tende a oscurare altre forme di realizzazione personale e professionale.

    La ricerca di Verniers (2020) e Ashburn-Nardo (2016) ha dimostrato che le persone senza figli, indipendentemente dal genere, sono percepite in modo meno favorevole rispetto a coloro che sono genitori. Questo perché la scelta di non avere figli è vista come una violazione delle norme sociali, portando alla visione stereotipata che chi non ha figli abbia più tempo da dedicare al lavoro.

    In che modo valutiamo la meritevolezza di supporto?

    La percezione della meritevolezza e il giudizio sociale sono processi complessi che coinvolgono diverse aree del cervello. Le neuroscienze hanno identificato alcune aree chiave implicate in questi processi:

    Corteccia Prefrontale Mediale: coinvolta nella valutazione di sé e degli altri, nella presa di decisioni morali e nel giudizio sociale;

    Corteccia Cingolata Anteriore: contribuisce alla valutazione delle emozioni e alla regolazione delle risposte emotive

    Amigdala: importante per la risposta a stimoli emotivamente significativi

    Insula: coinvolta nella consapevolezza delle emozioni e nella percezione del disgusto e di altre emozioni negative.

    Queste aree lavorano insieme per formare giudizi complessi riguardanti la meritevolezza delle persone. Ad esempio, quando valutiamo se un collega merita maggiore supporto, la Corteccia Prefrontale Mediale può essere coinvolta nella valutazione delle sue esigenze e dei suoi contributi, mentre la Corteccia Cingolata Anteriore e l’Amigdala possono influenzare le nostre risposte emotive a tale valutazione.

    Un ulteriore esempio comune riguarda gli anziani, considerati maggiormente meritevoli di supporto per i contributi dati alla società e al mercato del lavoro. Al contrario, i disoccupati sono percepiti meno meritevoli, talvolta perché il loro status è attribuito a una mancanza di sforzo personale.

     

    Lo studio di Filippi e colleghi (2020) ha evidenziato che i dipendenti con figli sono spesso considerati più meritevoli di supporto per il Work-Life Balance rispetto ai loro colleghi senza figli. Questo bias si riflette anche nelle valutazioni delle donne, dove le madri sono viste come maggiormente bisognose di flessibilità rispetto alle donne senza figli.

    È fondamentale riconoscere che la vita privata delle persone senza figli può essere altrettanto piena di attività come quella di un genitore. Hobby, cura personale, volontariato, studio o semplicemente tempo libero contribuiscono al benessere e alla produttività generale del lavoratore o della lavoratrice.

    Quali forme di responsabilità si evolveranno maggiormente domani?

    Il Caregiving è l’attività di assistenza e cura prestata a una persona non autosufficiente, che può essere un familiare, un amico o una persona cara con disabilità, malattie croniche o anzianità.

    Questo ruolo, svolto principalmente dai familiari, include una vasta gamma di attività, dall’assistenza fisica e sanitaria al supporto emotivo e organizzativo.

    Secondo le stime della Commissione Europea, il valore delle ore di assistenza a lungo termine fornite dai caregiver informali è pari a circa il 2,5% del PIL dell’Unione Europea, una cifra superiore alla spesa pubblica per l’assistenza a lungo termine (Adecco Italia).

    In Italia, il 15,4% della popolazione fornisce cure o assistenza almeno una volta a settimana, con una maggiore incidenza tra le donne (17,6%) rispetto agli uomini (12,9%).

    Questo dato evidenzia che, nonostante molte persone scelgano di non avere figli, non sono esenti da responsabilità di caregiving. Infatti, un numero significativo si trova a prendersi cura di familiari anziani o malati. Queste persone, oltre a coltivare le loro passioni personali, dedicano una parte considerevole del loro tempo e delle loro energie alla cura quotidiana di parenti non autosufficienti.

    Il ruolo di caregiver familiare si estende ben oltre la genitorialità, includendo una vasta gamma di attività di assistenza che influenzano profondamente la vita quotidiana e il benessere psicofisico di chi lo svolge.

    Questo impegno, spesso sottovalutato, è cruciale per il supporto delle persone care e necessita di un riconoscimento e un supporto adeguato dalle politiche di welfare aziendale.

    Quali punti di attenzione?

    Il primo passo da compiere è riconoscere il valore e le esigenze delle persone, indipendentemente dal fatto che siano genitori o meno.

    Offrire flessibilità e supporto a tutti i dipendenti, considerando le diverse forme di responsabilità di cura, può migliorare significativamente il benessere e la produttività sul posto di lavoro.

    In un mondo in cui le priorità e le forme di vita cambiano, le aziende possono scegliere di adottare un approccio inclusivo e adattabile alle diverse esigenze dei loro dipendenti.

    Senza dimenticare le prospettive del futuro, una popolazione che invecchia e le nascite diminuiscono, per arrivare al domani nel miglior modo possibile.

    Conclusioni

    Le aziende hanno l’opportunità di creare un ambiente di lavoro più inclusivo e sostenibile, che valorizzi ogni dipendente e le sue specifiche esigenze. Riconoscere il valore del caregiving e delle altre forme di impegno personale e professionale contribuirà a costruire organizzazioni più resilienti e soddisfatte, capaci di rispondere alle sfide del domani.

     

    Clicca qui per ulteriori approfondimenti: https://mailchi.mp/hermesconsulting.com/work-life-balance-avere-o-non-avere-figli-quali-impatti

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  • OLTRE I CONFINI DELL’ETÀ: L’INTELLIGENZA INTERGENERAZIONALE PER UNIRE E INNOVARE

    HBR: Oggi in molte organizzazioni emerge una sfida riguardante l’intergenerazionalità che, se non affrontata e gestita, può essere foriera di una grande dispersione di energie. Ne parliamo con Hermes Consulting.

    Chiediamo il punto di vista di Diego Martone, consulente Hermes Consulting e autore del libro “Senza Età. Come generazioni diverse coesistono e insieme creano valore”.

    Attualmente nelle aziende convivono 4 generazioni, spesso descritte solo per gli elementi che esaltano le differenze di origine, cultura e linguaggio, bisogni, competenze e aspirazioni.

    Anche le indagini intergenerazionali delle aziende si imbattono in un noto luogo comune: “È difficile capirsi, vedersi, riconoscersi e parlare la stessa lingua”. Questo pensiero è una scorciatoia facile, un mix dei bias di semplificazione e conferma, che evidenzia quasi esclusivamente le differenze, spesso esagerandole e stereotipandole. Il risultato è scontato: l’incomunicabilità e il mancato riconoscimento reciproco.

    Come possiamo affrontare queste distorsioni? Possiamo alimentare  l’inter-operabilità umana, ovvero un sistema che permetta di valorizzare ogni contributo      con     visione     unitaria,     integrata     e prospettica, prescindendo da qualsiasi tematica connessa all’età, perseguendo un obiettivo comune.

    Non  è  solo  utile  farlo,  ma  è  necessario  per  il benessere dell’azienda e le positive ricadute sia sul business che sulla salute delle persone.

    Perché è così difficile per noi accettare e integrare la diversità generazionale, nonostante gli sforzi consapevoli? Lo chiediamo ad Eleonora Ventura, psicologa del Wellbeing.

    L’integrazione della diversità non è mai stata una cosa semplice.

    Le neuroscienze ci insegnano che il nostro cervello cerca naturalmente l’omogeneità ed è sospettoso verso ciò che percepiamo diverso. Siamo fisiologicamente predisposti a creare un gruppo di appartenenza e a rafforzarne il valore per distinzione dagli altri, di cui estremizziamo i tratti più lontani dai nostri.

    Un meccanismo istintivo che è stato utile per semplificare la complessità. Ci ha guidato spesso a non vederci, a giudicarci per semplificare, a trarre le nostre conclusioni troppo in fretta, ad escluderci a vicenda, alimentando pregiudizi e stereotipie.

    Cosa vedete succedere nelle aziende in cui ci sono dei silos generazionali? Lo chiediamo a Lucia Grazi, Partner da oltre 20 anni e responsabile dell’inserimento di giovani in Hermes Consulting.

    Il fenomeno “Giovani talenti cercasi” o “Nuovi talenti in fuga” è ormai evidente, parallelamente a un fenomeno di marginalizzazione delle persone sopra i 50 anni.

    L’emergere di silos generazionali porta con sé chiari sintomi di disfunzione: notiamo una comunicazione inefficace e una marcata resistenza al cambiamento, soprattutto tra i membri più anziani dell’organizzazione. Queste frizioni limitano non solo le opportunità di mentorship tra le generazioni, ma generano anche tensioni che compromettono la collaborazione, rendendo l’ambiente lavorativo meno coeso. Inoltre, la mancanza di integrazione tra le generazioni spesso causa un alto turnover: i giovani lasciano in cerca di nuove opportunità, mentre i senior si sentono trascurati e sottovalutati.

     

    Inoltre, la difficoltà di innovare a fondo e la sfida di parlare lo stesso linguaggio dei nuovi clienti, sono dirette conseguenze di una conoscenza che non viene condivisa come dovrebbe. Ciò che impariamo e come interpretiamo le informazioni dovrebbero essere patrimonio comune, ma spesso non lo sono.

    Chi può abilitare una trasformazione?

    Per trasformare le culture in azienda, 3 parti devono entrare in dialogo: il Management, l’HR e una rappresentanza di generazioni diverse.

    Serve una leadership inclusiva e sensibile, capace di favorire la mediazione e l’incontro tra persone, che valorizzi i diversi contributi estendendoli in un’unica voce. Allo stesso modo, HR ha bisogno di rivedere i presupposti su cui sviluppa la cura delle persone, dalla selezione, alla valutazione, al dialogo continuo nei team, a strumenti che abilitino una condivisione reale.

    Eleonora, nel tuo ruolo di Client Manager, cosa proponi alle aziende per identificare e capitalizzare punti di forza e aree di miglioramento tra le diverse generazioni in azienda?

    Per prima cosa, organizziamo un workshop che si chiama “Senza età”, come il libro di Diego, per sensibilizzare i leadership team e i manager a scoprire i bias nascosti.

    Poi il nostro approccio fotografa l’azienda con analisi generazionali di clima e focus group a rappresentanza inclusiva, in cui esploriamo anche gli scenari di futuro possibili, con una metodologia consolidata, per individuare quello auspicato e facciamo scegliere i passi da fare insieme per realizzarlo: lo chiamiamo Future- proof horizons strategies e rende già chi partecipa, attore di una co-creazione inclusiva, perciò “nostra”.

    E dopo questa presa di consapevolezza, Lucia, come uscire dai silos e creare un ponte per la co-creazione?

    Lo facciamo con una rappresentanza inclusiva, dove Leadership Team, HR e popolazione aziendale intergenerazionale, co-creano l’Employée Value Proposition. Gruppi di lavoro tematizzati incarnano diverse parti dell’azienda e della sua cultura e sono invitati a catturare e raccontare aspetti della loro organizzazione nel presente e in progressione. Testimoniano valori, pratiche, significati condivisi.

    Seguono i Grounding Action Lab percorsi concreti per passare dalla cultura all’azione, in cui coinvolgiamo gruppi eterogenei, che a partire da obiettivi e aspetti identitari comuni, prima negoziano le linee di indirizzo sugli sviluppi strategici, da integrare nel piano di impresa. Poi, trasformano le priorità di azione in cantieri di progettazione, testing e implementazioni pilota, sperimentabili in contesti controllati e cicli brevi.

    Le generazioni si incontrano e generano insieme. Inoltre, possiamo unire valori e innovazione. Un caso è quello della Value Innovation Week”,  un evento rivolto a tutta la popolazione aziendale, per lavorare sui valori insieme e tramutarli in nuove idee frutto di contaminazione e conoscenza reciproca.

    E non dimentichiamo gli “Age of Value”, percorsi di group coaching per rinnovare l’impulso professionale di chi ha più esperienza, valorizzandone le competenze e stimolando la trasmissione di best practices.

    Come inquadrate le progettualità che sviluppate rispetto alle tematiche generazionali?

    Alimentiamo un’intelligenza intergenerazionale collettiva.

    Diego, come definite l’intelligenza intergenerazionale e quale impatto ha questo approccio sulla cultura aziendale?

     Consideriamo l’intelligenza intergenerazionale individuale come la capacità di riconoscere le diverse prospettive, competenze e valori, della propria e di altre generazioni, armonizzarle e metterle a fattore comune, per trovare soluzioni nuove.

    Hermes Consulting trasferisce sull’azienda tale approccio che riconosce la diversità di età come una risorsa preziosa e non un ostacolo.

    Mettere in pratica un’intelligenza intergenerazionale collettiva, significa creare un ambiente dove l’etica e la cultura valoriale, il sapere esperienziale e le pratiche consolidate, la conoscenza di un ruolo incontrano nuove idee, una mentalità aperta e il rinnovato desiderio di collaborare per un purpose comune.

    Attraverso il dialogo e la collaborazione intergenerazionale, le aziende possono migliorare significativamente la loro capacità di innovare e risolvere problemi in modo creativo. Questo pone le basi per una maggiore armonia interna, un’alta resilienza e la longevità dell’organizzazione.

    Come fare per attivare un progetto con voi?

    Siamo disponibili a incontrare chi fosse interessato e vedere quali soluzioni sono più adatte al suo contesto. Potete scrivere a lucia.grazi@hermesconsulting.com e visitare il nostro sito www.hermesconsulting.it

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  • Curare i traumi dello Smart Working

    Harvard Business Review Italia

    Parliamo di Smart Working. In che modo questa pratica nata per rigenerare il rapporto tra persone e lavoro, sta creando traumi per le organizzazioni e per le persone. Lo chiediamo a Michela Melchiori, Partner di Hermes Consulting.

    Al di là del suo utilizzo durante l’emergenza della pandemia che lo ha visto come strumento sanitario, lo Smart Working, con la sua nascita, voleva rigenerare il rapporto tra la persona e il lavoro in una prospettiva di co-responsabilità, con l’ambizione di soddisfare contemporaneamente la produttività e l’autonomia che fino a quel momento erano antinomici.

    Ciò che ha sempre caratterizzato il rapporto tra le persone e il mondo del lavoro nei suoi diversi aspetti, è stata la necessità di trovare varie forme di adattamento, con gradazioni di diversa intensità che potevano sfociare anche nello stress o nel burnout, in quei momenti della vita organizzativa che fossero diventati particolarmente complessi per le persone.

    Questa dimensione del disagio però si manifesta anche oggi, benché lo Smart Working sia diventato la normalità: infatti, ora, l’indipendenza dei singoli si scontra con alcune fondamentali dimensioni della vita professionale e del funzionamento delle organizzazioni. Facciamo riferimento al fatto che da anni si cerca di migliorare il lavoro dei gruppi come risposta alla crescente complessità e si cerca di superare il più possibile le barriere funzionali, in una prospettiva di comunità: si investe su inclusione, intelligenza collettiva e cooperazione come risposte necessarie allo sviluppo di organizzazioni flessibili, capaci di affrontare l’incertezza e di rinnovarsi per mantenere o sviluppare quote di mercato.

    Ma oggi è proprio nella maggior autonomia originata dallo Smart Working, che si crea un’incompatibilità nel rigenerare queste dimensioni, dimenticando che la persona non è solo individuo, ma anche appartenenza.

    In molte organizzazioni, perciò, si sta passando da una vecchia forma di alienazione a una nuova, che agisce in negativo sull’empowerment delle persone.

    Anche le neuroscienze confermano questa percezione: le ricerche indicano che la mancanza di interazioni faccia a faccia nello Smart Working, può influenzare i neurotrasmettitori legati alle relazioni sociali. La dopamina, ad esempio, può diminuire con la ridotta connessione sociale, influenzando la motivazione e il coinvolgimento dei membri del team. Inoltre, la mancanza di confini chiari tra vita lavorativa e personale può stimolare il sistema nervoso autonomo, influenzando la produzione di cortisolo e altri neurotrasmettitori coinvolti nella risposta allo stress, che originano nelle relazioni una maggiore aggressività o, al contrario, l’evitamento.

    Se quello che stiamo descrivendo è reale, significa che siamo di fronte ad un possibile paradosso: l’azienda promuove lo Smart Working perché vuole essere più produttiva e invece ottiene una disorganizzazione che rende meno efficiente l’organizzazione stessa, fino a minacciarne la longevità.

    Allora, Dottoressa, alla luce di queste riflessioni, possiamo immaginare di tornare indietro?

    Direi di no, anche se stiamo riscontrando che diverse aziende lo vorrebbero fare. Le persone hanno visto che nel lavoro agile ci sono comunque dei benefici non sostituibili da una compensazione economica e le organizzazioni correrebbero il rischio di perdere valore.

    C’è anche da ricordare che prima della pandemia il senso di appartenenza era profondamente legato a un luogo permeato da una cultura spesso implicita. Oggi, il luogo è sempre più evanescente ed è necessario rendere esplicite le radici culturali e i comportamenti organizzativi per nutrire l’engagement.

    Occorre, quindi, investire per ridurre il rischio di alienazione e stimolare le persone a sviluppare il senso di appartenenza, per riconoscersi comunità che condivide uno scopo e genera valore. Le dimensioni affettive così come quelle negoziali, essenziali per la cooperazione, devono trovare degli spazi fisici in cui emergere e allenarsi in relazioni reali in presenza.

    Possiamo identificare dei bisogni essenziali nella vita dei Team e delle Funzioni che ad oggi rischiano di perdersi con lo Smart Working?

    Lo chiediamo a Francesca Carimati, Client Manager, che sta seguendo lo sviluppo di queste progettualità.

    Dalla nostra esperienza, abbiamo visto che i Team e le Funzioni hanno bisogno di:

    1. Riconoscere il loro momento costitutivo attraverso l’esplicitazione del loro scopo e dei loro valori. Questa azione va rigenerata periodicamente per mantenere la motivazione;

    2. Avere il collante della fiducia tra i membri e questo avviene attraverso dei momenti che facilitano l’incontro di dimensioni intime e umane;

    3. Poter collaborare includendo le persone nonostante la distanza o l’appartenenza a funzioni diverse;

    4. Rifocalizzarsi attraverso un’analisi critica periodica, per trovare le soluzioni nuove da realizzare assieme

    5. Rimanere aperti all’evoluzione, sviluppando una mentalità e delle pratiche per il miglioramento continuo e l’innovazione.

     

    L’osservazione di questi bisogni ha acceso in noi l’esigenza di voler contribuire, anche come Società Benefit, mettendo a disposizione di tutti l’esperienza trentennale di facilitazione con i Leadership Team, ma con un approccio e dei costi compatibili con le esigenze aziendali di estendere gli interventi su molti Team o Funzioni.

    Per questo abbiamo ripreso la metodologia dell’Outdoor Culturale®, capace di integrare in poco tempo dimensioni relazionali e operative, utilizzando esperienze ad alto impatto emotivo con l’ausilio di metafore potenti e laboratori strutturati per accelerare la co-creazione e il problem solving e l’abbiamo sviluppata sulle 5 aree dei bisogni individuati.

    Così sono nati i Regenera-Team®, facili da organizzare e replicabili all’interno dell’organizzazione con un relativo impiego di risorse, realizzabili sia in indoor che in outdoor.

    Questi interventi contengono una tecnologia di accelerazione alla trasformazione che abbiamo creato integrando diversi studi, dalle neuroscienze all’arte. Sono dei veri momenti di trasformazione nei quali, le problematiche di cui abbiamo parlato, trovano risposte grazie agli stimoli e alla facilitazione da parte di esperti che, aggregando energie e menti, favoriscono il rafforzamento dello spirito della squadra.

    Dalla nostra esperienza sappiamo che le persone li apprezzano molto, perché non erodono il valore del tempo privato e con la facilitazione e la metodologia che assicuriamo, ottengono ottimi risultati in breve tempo. Ecco il cambiamento: dal vivere molti momenti a bassa intensità nel quotidiano, al creare dei momenti ad alta intensità, che sono veri e propri abilitatori per i gruppi che desiderano coltivare la loro vitalità.

    Con l’intelligenza artificiale possiamo considerare questi bisogni superati?

    Al contrario, perché l’Intelligenza Artificiale accentuerà il bisogno delle organizzazioni di differenziarsi. Sappiamo che le tecnologie sono tutte acquistabili, se non nel breve, nel medio termine. L’unica cosa che può far emergere l’organizzazione dall’oceano rosso della competizione è il contributo dell’essere umano; ma quell’apporto, per rendere riconoscibile un’organizzazione, deve essere fondato e coerente con la cultura dell’organizzazione stessa. Quindi è ancora più necessario creare le condizioni affinché le persone e i team sostengano l’identità e lo scopo dell’organizzazione.

    Come possono contattarvi le aziende per avere il vostro aiuto?

    Potete scrivere a me e Michela a questi indirizzi mail: michela.melchiori@hermesconsulting.com e francesca.carimati@hermesconsulting.com

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  • Volto umano con sfere colorate

    NESSUNO SOSTITUISCE NESSUNO

    INTRODUZIONE

    L’orbita dell’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale (AI) Generativa segna un punto di svolta nella storia del lavoro. Tecnologie che un tempo erano ritenute appannaggio esclusivo della fantascienza stanno ora entrando nella nostra realtà quotidiana, alterando radicalmente i modelli di business, le professioni e le competenze lavorative.

    GLI IMPATTI

    Charlene Li, una delle massime esperte di strategia aziendale e tecnologie digitali, ha evidenziato, nella sua vasta esperienza e i suoi molteplici studi, come l’AI generativa non sia soltanto un’evoluzione tecnologica, ma rappresenti una vera e propria rivoluzione, capace di creare una “mega trasformazione” nel mondo del lavoro.

    Questa tecnologia non solo migliorerà l’efficienza in alcuni compiti, superando la capacità umana in velocità e precisione, ma modificherà anche radicalmente i ruoli lavorativi, creando nuove professioni e richiedendo una riqualificazione significativa della forza lavoro attuale.

    Inizialmente, i ruoli più impattati includeranno copywriter, gestori di social media, operatori di call center e assistenti legali, richiedendo competenze aggiuntive per la revisione e l’ottimizzazione dei contenuti generati dall’AI.

    Le statistiche suggeriscono che entro 18 mesi i 2/3 dei lavoratori modificheranno significativamente il proprio lavoro.

    Valigetta da lavoro con il mondo alle spalle

    L’introduzione dell’AI nel quotidiano lavorativo sta rivoluzionando la tradizionale concezione di “lavoro” basato su mansioni ripetitive e a basso valore aggiunto. Robotica e sistemi intelligenti assumono su di sé questi compiti, liberando risorse umane per dedicarsi a ruoli che richiedono creatività, pensiero critico e sensibilità emotiva.

    Un esempio?

    Nel settore della customer experience l’AI gestisce le interazioni di routine, permettendo, così, agli addetti di concentrarsi su casi più complessi e su una personalizzazione del servizio che solo l’intuito umano può offrire.

    La transizione da compiti operativi a quelli strategici e creativi sottolinea l’importanza dell’aggiornamento professionale e dell’apprendimento continuo.

    L’integrazione dell’AI nel core business delle aziende sta catalizzando la nascita di professioni inedite, intrinsecamente legate alla gestione e all’analisi dei dati, alla sicurezza informatica e allo sviluppo di soluzioni basate su machine learning.

    Una delle figure che sta emergendo con immensa velocità è quella del “Prompt Designer”, un esperto che si occupa di inserire gli input necessari ad ottenere l’efficientamento degli output dell’AI, e diversamente dai programmatori che immaginiamo, dominano competenze poco tecniche e molto trasversali, quali ad esempio: creatività, formazione trasversale, open mindset, chiarezza e concisione, capacità di testare e valutare, attitudine al miglioramento continuo, conoscenza dei bias dei dati.

    La figura nascente dell’esperto in etica dell’AI, invece, riflette la crescente necessità di guidare lo sviluppo e l’impiego delle Tecnologie Intelligenti all’interno di un quadro etico e normativo chiaro e condiviso, garantendo che l’innovazione proceda di pari passo con il rispetto dei principi di equità e trasparenza.

    NESSUNO SOSTITUISCE NESSUNO

    Il cambiamento indotto dall’AI generativa sottolinea l’importanza cruciale del pensiero critico e di riqualificazione e acquisizione di nuove competenze per

    posizioni diverse all’interno delle organizzazioni.

    Ognuno sarà chiamato ad essere Project Leader del proprio operato, apprendendo come guidare e dare indicazioni piuttosto che fare. Ognuno sarà maggiormente responsabile del proprio lavoro, del proprio sviluppo, dei dati che condivide con la macchina.

    L’invito per le aziende oggi è essere proattive nell’affrontare la trasformazione guidata dall’AI generativa.

    È fondamentale che i leader aziendali inizino a pianificare sin da ora come questa tecnologia influenzerà la loro strategia, la forza lavoro e l’esperienza cliente, preparandosi ad un cambiamento che, secondo le stime, inizierà a manifestarsi in modo significativo tra poco più di un anno, ma già è diffuso in ogni media.

    Sarà fondamentale, per lo sviluppo di questa trasformazione, che le persone non vedano nell’AI una minaccia, piuttosto un’alleanza strategica al proprio efficientamento e alla propria crescita. All’interno di un perimetro definito, la sfida sarà, dunque, quella di sperimentare, testare soluzioni, apprendere come il proprio mestiere possa essere potenziato.

    Emergono in modo chiaro nuovi bisogni.

    Indipendentemente dal ruolo, tutti i membri dell’organizzazione devono essere preparati a interagire con l’AI. Ciò richiede una cultura di trasparenza, dove le decisioni e le strategie relative all’AI sono comunicate apertamente, e dove c’è spazio per feedback e dialogo. Soprattutto per le domande. Dove si ha fiducia, si promuove l’autonomia, si accetta anche lo spazio dell’incertezza e della vulnerabilità. La co-partecipazione nel processo di integrazione dell’AI aiuta a mitigare le paure e le ansie, promuovendo un ambiente in cui tutti si sentono valorizzati e parte integrante del futuro dell’organizzazione. Questo non è un cambiamento che può avvenire dall’alto ma piuttosto è la sinergia tra le persone che può espandere a dismisura lo sviluppo di un’organizzazione.

     

    RISPONDERE E PERCORRE L’EVOLUZIONE

    È fondamentale oggi sviluppare piani di trasformative learning che rispondano concretamente ai bisogni emergenti, promuovendo il pensiero critico, l’adattabilità, e la capacità di lavorare efficacemente con l’AI. Ma prima di tutto sarà necessario un cultural change delle aziende, che si espanda coinvolgendo tutte le persone, prima di tutto nello stabilire una cornice culturale che funga da bussola nell’utilizzo di questi strumenti e poi un perimetro che aiuti ogni partecipante a sperimentare.

    CONCLUSIONI

    Il futuro del lavoro si prospetta come un ecosistema in cui l’intelligenza umana e artificiale coesistono e cooperano per superare i limiti dell’innovazione. Questa sinergia non solo potenzia la produttività ma arricchisce anche il lavoro di dimensioni creative e strategiche prima inesplorate. In questo contesto, l’AI non è vista come un sostituto dell’uomo ma come uno strumento per esaltare e completare le capacità umane, spianando la strada verso un futuro lavorativo collaborativo, stimolante e ricco di opportunità.

     

     

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  • immagine che raffigura connessioni, energia, colori

    La Leadership Cosciente: Guidare il Cambiamento verso un Futuro Sostenibile

    Nel contesto attuale, caratterizzato da un sistema adattivo complesso, flessibile e multiforme, la leadership riveste un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

    Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) che vogliamo realizzare richiedono connessione e co-creazione; si traducono in azioni coordinate, sociali, economiche e ambientali, a livello regionale, nazionale, internazionale. Sono realizzabili se si creano connessioni, reti tra società, enti governativi, istituzioni educative. Chi può compiere queste difficili imprese? Chi ha il ruolo di “mettere insieme i puntini?”

     

    Schema leadership cosciente, rappresentazione grafica

    Siamo immersi nella complessità. Come facciamo ad impattare su questo sistema, a trasformarlo, a raggiungere gli SDGs?

    Non bastano regolamenti chiari e politiche ben progettate. Spesso ciò che fa la differenza è l’ispirazione, la lungimiranza e la capacità di comunicare che solo un vero leader conosce, per guidare azioni coordinate e movimenti sociali in cui le persone sono coese e allineate.

    L’effetto del leader sui sistemi complessi è indiretto e imprescindibile; avviene attraverso la manifestazione di un’identità organizzativa e di uno scopo verso cui le persone tendono e confluiscono.

    I leader possono seminare e coltivare un perché collettivo, attivare cambiamenti sociali e adottare molteplici approcci.

    Per anni le aziende hanno cercato di tracciare l’identikit di chi guida il cambiamento. Hanno indagato spesso le competenze da sviluppare per essere leader di successo.

    Oggi ci stiamo chiedendo: come si rappresenta il mondo il leader ad alto impatto trasformativo? Come organizza nel suo cervello l’esperienza che vive?

    Gli studi ci dicono che il ruolo della leadership è centrale per volgere davvero le azioni collettive verso la sostenibilità e la longevità, ma che una caratteristica tra tutte fa la differenza e risiede nello sviluppo della coscienza.

     

    La Leadership della Trasformazione:

    Il leader della trasformazione ha un’autoconsapevolezza elevata e un senso di coscienza allargato che gli permettono di passare rapidamente da un punto di vista all’altro, di cogliere le connessioni tra le cose, di leggere i segnali sottili con un’ampia sensibilità e un fine ascolto, ma soprattutto, di organizzare le esperienze e i punti di osservazione per costruire senso e trovare significato.

     

    La Coscienza come Strumento di Auto-Riflessione:

    La nostra coscienza orienta il nostro focus attentivo e mette in luce il rapporto tra ciò di cui siamo consapevoli e ciò che rimane nascosto. È indicativa di cosa notiamo, cosa sentiamo o meno sotto la nostra responsabilità, come valutiamo l’impatto di ciò che facciamo.

    Quando è estesa e ampiamente sviluppata ci permette di avere un’identità dinamica e quest’ultima ci abilita ad uno sguardo più critico, profondo e olistico anche verso le nostre convinzioni, le nostre abitudini e i nostri modi di pensare. Ci aiuta anche a prendere le distanze da noi stessi, il tempo necessario per ricavare un punto di vista diverso che completa il quadro. Noi diventiamo oggetti nella nostra riflessione e ci guardiamo nel nostro divenire.

    Questa capacità di auto-riflessione è un tratto distintivo dei leader coscienti e consapevoli, la cui rappresentazione del mondo e di sé stessi è radicata nel sentire e nella recettività di ciò che accade intorno.

    Forse è questo l’ingrediente più prezioso per avere davvero un impatto concreto sull’evoluzione sostenibile della nostra società.

    Forse è questo l’ingrediente che ci serve per coltivare una longeva eredità.

    Qualcuno concretizza, il leader cosciente sente.

    Quando siamo davanti ad una scena difficile da comprendere possiamo agire in due modi:
    Possiamo semplificare, quindi concretizzare e dettagliare, eliminando, al contempo, ciò che è fuori dalla nostra rappresentazione schematica; oppure possiamo rimanere comunque recettivi, malleabili e pronti a includere.

    Il leader con un alto livello di coscienza è spirituale e sensoriale allo stesso tempo, poiché è profondamente ancorato al sentire e a ciò che succede intorno, mentre coglie i sottili punti di contatto tra le cose per trovare significati.

    L’espansione del sentire ci aiuta a riconoscerli.

    Un esempio?

    Per alcuni, il benessere umano equivale al proprio, per altri corrisponde al bene per la famiglia e per i propri cari. Per altri ancora è il Bene della comunità, del paese, del mondo intero.

    Tutte le persone desiderano benessere e felicità, in questo sono uguali, ma in scala sono diverse.

    Il leader altamente cosciente è recettivo, malleabile, inclusivo ed espande il raggio di questa scala. “guarda senza una ragione apparente” e considera il benessere del mondo una sua priorità.

    Wikipedia.it

    Huile sur toile (1925) de Vassily Kandinsky. Musée National d’Art Moderne, Paris, France. Donation Nina Kandinsky 1976. AM 1976-856

     

    La Fusione tra Spiritualità e Leadership:

    La spiritualità, intesa come capacità di vedere oltre, diventa parte integrante della leadership consapevole.

    In questa cornice, la tendenza umana universale a “volere di più” non è rivolta a un regno materiale, ma a qualcosa di intangibile che diventa una forza trainante delle azioni e risiede dello scopo profondo che sentiamo di voler perseguire.

    La Guida verso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile:

    Il contesto attuale richiede una nuova prospettiva sulla leadership, che vada oltre l’acquisizione di abilità e conoscenze tecniche. È necessario concentrarsi sulla coltivazione dell’autocoscienza, dell’empatia e dello scopo nei leader, affinché possano comprendere i propri pensieri e le proprie credenze, i propri valori e il proprio scopo, allargando la loro plasticità, e la loro prospettiva. Si tratta di un impegno continuo e profondo. È un viaggio che richiede percezione, apprendimento e adattabilità.

    Solo attraverso una leadership consapevole e orientata al Bene Comune si può sperare di trasformare le sfide globali in opportunità e guidare il mondo verso un futuro sostenibile.

    Ecco perché oggi avere uno spazio di sviluppo personale è estremamente prezioso per guardare con lungimiranza e apertura verso gli SDGs.

    Le organizzazioni, in quest’ottica, diventano centri di trasformazione, in cui i manager hanno lo spazio di guardare dentro sé stessi e di lavorare insieme per diventare agenti del cambiamento tanto desiderato dal mondo. Le gerarchie tradizionali si sciolgono, aprendo spazio all’innovazione, alla collaborazione e all’autonomia. Le aziende assumono il ruolo guida nella sostenibilità, dove il profitto non è più l’unico motore, ma diventa un veicolo per il benessere di tutte le parti coinvolte e dell’ambiente in cui operano.

     

    Una curiosità?

    Per esercitare questo livello di consapevolezza le ricerche ci raccontano che non c’è niente di meglio di una storia mitica, dell’ispirazione artistica, di una favola ad alto impatto. Questi tipi di storie alimentano lo scopo dell’agire, tramandano messaggi e significati e sono carichi di spiritualità.

     

    Scopri di più 

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