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  • LA MAGIA DELL’OUTDOOR CULTURALE®: UNA METAFORA CHE TRASFORMA

    HBR: Il sogno della maggior parte degli Amministratori Delegati e degli HR Manager è trovare una forma di “magia”, che aiuti le persone a cambiare facilmente mentalità, per adattarsi in tempi rapidi ai cambiamenti con pensieri e comportamenti nuovi, per un mondo che grida evoluzione.

    Chiediamo a Hermes Consulting, Società Benefit di Firenze, che da 30 anni accompagna i cambiamenti nelle aziende. Come affrontate questo bisogno di magia?

    Monia Russo Partner di Hermes Consulting parla dell'approccio Outdoor Culturale per il cambiamento aziendale

     Monia Russo, Partner di Hermes: Abbiamo sviluppato una metodologia proprietaria a questo scopo, chiamata Outdoor Culturale®.

    Una storia che a mio avviso racconta gli effetti di questa magia è quella di un AD di un gruppo internazionale General Contractor, che avendo cambiato la struttura organizzativa, doveva convincere i 5 Direttori Generali delle diverse country a collaborare, condividere le grandi attrezzature per le costruzioni e armonizzare le risorse nella gestione delle gare di appalto.

    Dopo più di un anno di tentativi non andati a buon fine, ci ha contattati per capire cosa ci fosse “che non andava in queste persone” perché non riusciva a farle lavorare in un modo diverso.

    Abbiamo incontrato ad uno ad uno i Direttori e abbiamo progettato un offsite di due giorni a Siena, con una visita ispirativa al ciclo di affreschi del Bene Comune di Ambrogio Lorenzetti, che si trova nel Museo Civico della città.

    Attraverso una narrazione, impostata sul costrutto metodologico delle metafore ericksoniane, abbiamo ricalcato la situazione che ci avevano raccontato l’Amministratore e i Direttori in fase di analisi.

    Sempre attraverso la narrazione dell’opera, abbiamo suggerito e ispirato delle soluzioni, in linea con quanto prevedeva la riorganizzazione aziendale.

    Nel momento della riflessione, successiva alla visita, l’Amministratore Delegato è rimasto molto colpito dal cambiamento che il gruppo ha manifestato.

    Uno degli episodi più rappresentativi di questa trasformazione, è stato quando il più anziano dei Direttori, anche il più resistente, ha trovato, grazie alle suggestioni della metafora, una forte connessione con il proprio lavoro: “Avete visto cosa facevano i contadini di Siena? Condividevano le macchine e risparmiavano, potremmo farlo anche noi!”.

    La magia è stata che da quel giorno, l’implementazione del sistema matriciale si è realizzata con molta più facilità e i Direttori, durante la gestione degli appalti, hanno iniziato a scambiarsi buone pratiche e macchinari.

    Come scatta la magia?

    Alessandro Rizzi ideatore metodologia Outdoor Culturale Hermes Consulting

    Alessandro Rizzi, uno degli ideatori della metodologia: Portiamo i Team reali o interfunzionali, a vivere esperienze a stretto contatto con la storia dell’arte, dentro installazioni artistiche, mostre e capolavori dell’architettura.

    La struttura dell’Outdoor Culturale® riesce, attraverso il potere della metafora, ad accendere la sfera emotiva della mente, risvegliando così la motivazione e la proattività delle persone, stimolandone anche il pensiero critico e razionale.

    Ottiene come prodotto l’accelerazione dei cambiamenti richiesti dal contesto e il raggiungimento più facile dei risultati. Grazie agli stimoli che le metafore artistiche creano, le persone vivono un momento di consapevolezza, che permette loro di vedere agite le proprie dinamiche di comportamento, scorgendo nuove soluzioni, trovando punti di convergenza e immaginando assieme futuri possibili.

    Questo approccio utilizza l’isomorfismo (una corrispondenza di forme e strutture) tra l’esperienza dell’azienda e la rappresentazione artistica, per aprire finestre inedite e produrre salti di pensiero più veloci.

    Come costruire le metafore in modo che siano efficaci?

    Monia Russo: Ogni narrazione artistica viene costruita in modo che il “sentire di una realtà aziendale”, che raccogliamo attraverso interviste e focus group, sia traslato nella storia, così che si crei un rispecchiamento nei partecipanti e si possa creare un collegamento tra l’esperienza metaforica raccontata e il futuro che l’azienda desidera perseguire.

    Questo permette di vivere la propria storia aziendale collegata a valori e scopi personali, consente di vedersi e sentirsi raccontati e infine di osservare il presente e il futuro da un punto di vista esterno. Questo processo intensivo culmina nella proiezione sulla realtà lavorativa, per immaginarla, dopo l’esperienza, in modo diverso e introdurre dei cambiamenti reali.

    L’Outdoor Culturale® dà un’identità precisa ai problemi e la presentazione metaforica della tematica trattata, consente ai partecipanti di arricchire la loro prospettiva, allargare il proprio mindset e la vista, individuando così nuove soluzioni.

    La traduzione del vissuto interiore, in termini razionali, consente di trasferire nel quotidiano quanto appreso metaforicamente.

    L’esperienza genera una sorta di mappa mentale, che permette di affrontare situazioni simili, nella realtà presente e futura, con consapevolezza.

    In questi anni abbiamo sviluppato percorsi con diverse finalità nelle principali città d’arte italiane, che sono delle vere e proprie esperienze magiche!

     

    Perché unite la narrazione metaforica proprio all’arte?

    Alessandro: L’arte ha in sé un codice aperto e arriva dritta al cuore prima ancora di essere “letta”. Ha un linguaggio polisegnico, quindi soggetto a molteplici interpretazioni. Muove processi profondi e permette di lavorare sulla propria realtà, mantenendo una distanza dalla quotidianità, funzionale a superare i propri blocchi e a mettere in risalto i propri vissuti. Permette di partire da ciò che le persone sentono nel profondo e sviluppa strategie di cambiamento radicate in questo sentire.

    Edith Kramer, pittrice e terapeuta, diceva che “l’opera d’arte è un contenitore di emozioni” e Vygotskij, uno dei padri della psicologia, parlava della creatività e dell’immaginazione come elementi necessari per stimolare la ricerca di nuove soluzioni e aprire le porte al cambiamento.

    Pertanto, l’arte non è una fuga dalla realtà, anzi permette di incorniciarla, di conoscerla meglio, guardandola con nuovi occhi, osservandola da punti di vista diversi. Consente inoltre di esprimere concetti che rimarrebbero altrimenti celati e magari censurati, se utilizzassimo solo il canale verbale. L’arte concede il permesso alle persone e alle organizzazioni di pensare in modo diverso, parla una lingua “universale” compresa quella dell’inconscio che è in grado di liberare risorse latenti.

    I progetti migliori non hanno solo una struttura ben studiata, hanno soprattutto un’anima palpabile che prende forma grazie alla combinazione tra metafora terapeutica e arte.

     

    Cosa rende questa metodologia un catalizzatore di progettazioni sostenibili e mirate alla longevità dei contesti organizzativi?

    Diego Piovan Partner di Hermes Consulting parla di sostenibilità e Outdoor Culturale

    Diego Piovan, Partner: La sostenibilità è diventata un imperativo non solo ambientale, ma anche economico e sociale. Richiede una leadership che vada oltre i tradizionali modelli gestionali, che sia piuttosto olistica, adattiva e radicata in una profonda comprensione dei sistemi complessi.

    L’Outdoor Culturale® è in linea con tutte le ultime scoperte legate alla leadership della complessità. La ricerca di Barrett C. Brown (2011), executive coach ed esperto globale sullo sviluppo della leadership, sostiene che solo leader con sistemi di significato avanzati possono progettare e gestire uno sviluppo sostenibile.

    Per prepararli a questa sfida, spiega che le esperienze più formative, partono da una profonda base interiore, radicata in valori e principi che guidano non solo la visione, ma anche la strategia di iniziative sostenibili. Permettono di mettere in gioco risorse interne ed espandono il “sentire”, la recettività e la coscienza.

    Secondo la ricerca di Manners, J., & Durkin, K. (2000), la coscienza si espande a contatto con esperienze rilevanti di natura interpersonale, con un alto impatto emotivo, che vadano oltre le norme e le aspettative esistenti per catalizzare la crescita.

    Questi elementi sono contenuti dell’Outdoor Culturale® che sollecita tutte le 5 dimensioni che, secondo il capostipite della psicologia positiva Martin Seligman, costituiscono ogni esperienza di pienezza: emozioni positive, coinvolgimento autentico ed immersivo, condivisione, senso di scopo e di contribuzione, sperimentazione dell’autoefficacia nel raggiungimento di un risultato.

    Ogni partecipante, così come ogni team, esce profondamente cambiato, in contatto con un nuovo sentire, capace di attivare le risorse per affrontare le sfide della sostenibilità.

    Come possono contattarvi le aziende per organizzare un Outdoor Culturale®?

    Potete scriverci a questi indirizzi:

    Per ulteriori approfondimenti clicca qui:

    Portfolio Outdoor Culturale®

    Approfondimento Outdoor Culturale® 

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  • Adulti in Azienda: La Rivoluzione del Lavoro che Serve Ora

    Di Daniela Oliboni e Gianandrea Iapichino

    Il futuro ci sta raggiungendo, e questa volta sembra essere in anticipo.

    Il CEO ci guarda negli occhi e chiede: “Siamo pronti?”

    Ma per cosa?

    Pronti a sfidare i paradigmi esistenti, ad abbracciare un nuovo modo di pensare e agire di fronte alla rapida evoluzione del panorama aziendale.

     

    Perché, in effetti, non si tratta solo di capitalizzare le funzioni dei sistemi tecnologici acquistati dal CIO.

    Il tempo presente mette in discussione la stessa visione del lavoro e dell’organizzazione e chiede di adottare una mentalità più aperta e fiduciosa verso le persone e gli strumenti che possono aiutarci.

     

    Perciò possiamo dire che ci troviamo di fronte all’esigenza di sostituire vecchie credenze limitanti con visioni e credenze nuove, con le quali modellare questa realtà.

    Quando parliamo di credenze, ci riferiamo a quei pensieri che settano i perché della realtà che osserviamo.

    Spesso questi perché sono legati ad un passato antropologico e sociale: l’individualismo e il capitalismo, enfatizzando l’interesse personale e il profitto, alimentano l’idea di una netta separazione tra bene della proprietà e quello dei dipendenti. Il dualismo cartesiano e il management scientifico Tayloristico promuovono una visione meccanicistica e gerarchica del lavoro, dove chi pensa e progetta è separato da chi esegue e mette a terra.

     

    Facciamo esempi di credenze oggi ancora molto diffuse:

    “I dipendenti lavorano duro solo per i bonus.”

    “I manager decidono, i dipendenti eseguono. Questo è cruciale per l’efficienza.”

    “La standardizzazione dei compiti massimizza la produttività.”

    “Le decisioni importanti richiedono la mia approvazione.”

    “Concentrarsi sui risultati a breve termine è più pragmatico che seguire visioni astratte.”

    “Se le persone fanno lo smart working, non lavorano.”

     

    Riconosciamo in queste convinzioni l’applicazione delle precedenti correnti di separazione che originano una divisione tra “genitore che guida” e “bambini che eseguono”. Mancano gli adulti sul palcoscenico del presente.

     

    Ricordiamo a noi stessi che essere adulti significa essere capaci di autonomia, di responsabilità e contribuire attraverso opere creative a far evolvere la realtà.

    Essere adulto significa accogliere l’altro in un incontro generativo, non solo alimentato da aspettative. Significa vedere l’impatto del proprio agire, diversamente da come farebbe un bambino. Significa essere presente, parte attiva e responsabile, oltre il dimostrare o rendicontare.

     

    Possiamo dirci che ancora gli approcci prevalenti nell’organizzazione del lavoro si basano sulla diffidenza verso gli “adulti”, introducendo sistemi disciplinanti, intesi a circoscrivere e contenere la responsabilità e la capacità generativa?

     

    Molte aziende hanno seguito il cambiamento presente preoccupandosi solo di adempiere a nuove leggi a sostegno di modelli più fluidi e integrati, ma non hanno modificato forme e processi, perché quei leader hanno mantenuto stili manageriali “disciplinanti”, anziché di co creazione. Questi approcci già limitavano fortemente il potenziale produttivo delle aziende prima della diffusione pervasiva delle tecnologie digitali.

     

    Oggi, di fronte all’AI accompagnata dal machine learning, si rischia non solo di schiacciare l’individuo che non è trattato come adulto, ma di eliminare dall’azienda la stessa possibilità di fare innovazione. In altri termini, senza gli adulti, ciao ciao al vantaggio competitivo.

     

     

    Forse, la credenza bloccante l’evoluzione del nostro sistema è quella che la creazione di valore risulti dalla negoziazione tra posizioni di “bene privato”, come teorizzava Adam Smith. E una conferma a questa ipotesi è nel crescente numero di organizzazioni che mettono nelle loro agende la sostenibilità, senza comprenderne il beneficio comune.

     

    Ma che cos’è la sostenibilità se non una dimensione del Bene Comune?

    Ed è proprio il Bene Comune la credenza da scegliere, perché è qui che leader e collaboratori si possono incontrare come adulti, portando ancora una volta ognuno la propria dimensione di bene privato ma nella prospettiva di tenere solo quelle parti che possono contribuire alla creazione di un futuro sostenibile per tutti.

    Trattiamoci da adulti, co-creaiamo, così bilanciamo la prevedibilità dell’algoritmo, con l’imprevedibilità umana, “disciplinata” da un patto per il Bene Comune che la orienta interiormente e abilita il futuro.

     

     

     

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  • IL SENSO DI SICUREZZA E L’EREDITÀ DI BRUNELLESCHI

    INTRODUZIONE

    Nella Firenze del XV secolo, Filippo Brunelleschi si trovava di fronte a un’impresa senza precedenti: costruire la cupola del Duomo di Firenze, un progetto che avrebbe richiesto non solo ingegnosità architettonica ma anche un nuovo approccio alla gestione del lavoro.

    Il punto di partenza era: “Come riuscire a costruire la Cupola e riducendo al minimo i rischi, data la forma particolarmente complessa e ancora incompiuta rispetto al resto dell’edificio?”

    Quando la cupola raggiunse il punto di massima curvatura, la salita e la discesa, anche più volte al giorno, dalla stessa, divennero seriamente difficoltose, gli operai dovevano affrontare il periglioso viaggio verso il suolo e viceversa. Data la situazione impervia e pericolosa, Brunelleschi, con una visione pioneristica per quei tempi, istituì la prima mensa lavorativa a 104 metri di altezza, riducendo le discese e le risalite durante l’arco della giornata.

    Questa soluzione, apparentemente semplice, rifletteva una profonda comprensione delle esigenze umane e della gestione efficiente delle risorse. Brunelleschi non solo ottimizzò il tempo e l’energia degli operai, ma migliorò anche il loro benessere, dimostrando una cura e un rispetto per il lavoro e la persona che, sebbene oggi possano sembrare ovvie, all’epoca rappresentò un approccio rivoluzionario.

    Questo gesto, fra tanti altri, anticipò i principi di ergonomia e di sicurezza sul lavoro, ponendo le basi per quello che oggi chiamiamo welfare aziendale, un concetto che sottolinea come la cura dei lavoratori sia direttamente collegata alla produttività e alla qualità del lavoro svolto. In questo modo, Brunelleschi non solo lasciò al mondo un capolavoro architettonico, ma anche una lezione senza tempo: per edificare grandi cose, prima di tutto, dobbiamo assicurarci che le fondamenta siano solide e resistenti ma al contempo occorre valutare in ogni dettaglio il modo con cui le persone che vivono i luoghi di lavoro si adoperano.

     

    LA SICUREZZA PSICOLOGICA COME BASE DEL BENESSERE ORGANIZZATIVO

    Da quando nasciamo e apriamo gli occhi, a quando muoviamo i primi passi, chi ci circonda si preoccupa di rendere l’ambiente in cui agiamo sicuro.

    PIRAMIDE MASLOW E CUPOLA

    La sicurezza rientra tra i bisogni fondamentali dell’essere umano, subito dopo le necessità fisiologiche, come mangiare e dormire. Questo è ciò che descrive A. Maslow con la sua Piramide dei Bisogni.

    L’organizzazione che valorizza la sicurezza psicologica crea l’ambiente giusto nel quale le persone si sentono incoraggiate a condividere le proprie opinioni, a sperimentare e, soprattutto, a imparare dagli errori.

    Il senso di protezione lo cerchiamo anche in altri contesti della nostra vita, come ad esempio nell’ambiente lavorativo, all’interno del quale le persone vogliono sentirsi sicure, libere da minacce fisiche e psicologiche. Solo nel momento in cui tale livello di sicurezza è garantito, emergono creatività, disponibilità all’innovazione e l’impegno autentico al cambiamento.

    Proprio come il bambino che conta sul supporto dei caregiver che gli assicurano lo spazio di esplorazione, azione e interazione nel quale muoversi.

    La “sicurezza psicologica” è un concetto introdotto da Amy Edmondson, professoressa di leadership e gestione alla Harvard Business School, definendola come: “La convinzione di poter esprimere liberamente idee, dubbi, preoccupazioni o errori senza timore di penalizzazioni o umiliazioni”.

    Questo ambiente di apertura e fiducia è il terreno fertile in cui normalmente germogliano innovazione e collaborazione.

    Si accelera così il processo di apprendimento collettivo e si rafforza anche il senso di appartenenza, di coesione interna, di squadra.

    Un ambiente sicuro dal punto di vista psicologico richiede un impegno costante da parte dei leader aziendali che dovranno essere agenti attivi per lo sviluppo di una cultura condivisa volta al rispetto reciproco e all’inclusività. Significa anche riconoscere e valorizzare il contributo di ogni singolo individuo, incoraggiando una comunicazione aperta e senza filtri.

    Così si costruiscono solide fondamenta e un benessere organizzativo efficace e produttivo, del tutto molto simile a quanto sperimentato da Brunelleschi per erigere la sua cupola.

    Il Nuovo Rinascimento del Benessere Aziendale

    Potremmo definirlo così quindi, le aziende, per costruire i loro successi economici dovranno costruire anche ambienti di lavoro che favoriscano il benessere e la realizzazione personale dei loro collaboratori ovvero assicurare un ascolto psicologico per comprendere i bisogni e liberare tutto il potenziale creativo ed energetico dei propri collaboratori.

    La domanda che ogni leader dovrebbe porsi è: “Come posso contribuire a costruire una “cupola” del benessere nella mia organizzazione, seguendo l’esempio di Brunelleschi?”

    La risposta a questa domanda non è semplice, ma riuscirci significherebbe tracciare un percorso verso un futuro del lavoro ispirato, sicuro, pienamente umano e di successi aziendali.

     

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  • Uovo rotto con germoglio di pianta

    CHE FORZA ESSERE DEBOLI!

    Qual è la rappresentazione più comune di un team di direzione?

    Siamo abituati a immaginare un gruppo altamente competente nel suo settore, con la capacità di guidare le persone nell’operatività del loro lavoro, con il carisma di comunicarne il senso, con l’abilità di decidere anche in condizioni di grandi difficoltà.

    Qualcuno di loro si racconta anche come solo, perché in questa complessità svelarsi è difficile. È difficile mostrarsi vulnerabile, quando hai la responsabilità di essere una colonna portante.

    Oggi, abbiamo accompagnato un team di Direzione a fare un atto di coraggio profondo.

    Un atto di fiducia, gli uni nei confronti degli altri.

    Abbiamo fatto scrivere loro su un foglio di carta le proprie debolezze per donarlo alla propria squadra.

    Ma facciamo un piccolo salto indietro.

    Che cosa sono le debolezze?

    Essere deboli significa allontanarsi dall’idea di avere il controllo su ogni cosa. Significa accettare che in alcune cose è necessario l’aiuto di qualcuno.

    Siamo da sempre abituati a immaginarci e rifletterci nell’ideale di “persona forte”.

    Ecco perché debolezza e difetto per molti di noi si assomigliano tanto da sembrare sinonimi. Nel linguaggio usiamo il secondo termine moltissime volte come sostituto del primo.

    Vogliamo invece spendere una parola su cosa significa essere deboli; sull’importanza della nostra fragilità come risorsa di inestimabile valore.

    Prima di tutto ogni debolezza è un punto di partenza.

    Se ci pensiamo il piccolo germoglio esposto al vento e alle intemperie è estremamente fragile. Ma questa condizione è necessaria, ai fini della sua trasformazione in una quercia millenaria. Se fosse duro, resistente, fin dal principio non avrebbe margini di sviluppo.

    QUERCIA E GERMOGLIOBasti pensare alla forza rappresentata dalla pietra, che per anni e anni, rimane costante nella sua forma.

    Accogliere le nostre debolezze ci permette di disfarci di un guscio che non ci consente di espanderci. Rotto quel guscio abbiamo la possibilità di crescere, di trasformarci, di avviare un percorso nuovo.

    La debolezza è l’origine e la sostanza della forza relazionale; crea e conserva legami puri e profondi. Le persone che scegliamo di accogliere nella nostra vita e alle quali teniamo maggiormente sono quelle che conoscono le nostre vulnerabilità e che ci hanno rivelato le proprie.

    Così riusciamo a sentirci liberi di poter esprimere i nostri dubbi e di confidare i nostri errori, perché acquisiamo la consapevolezza che l’eccellenza più alta a cui aspirare non è quella del collega che non riusciamo a emulare.

    Così ci spostiamo dalla competizione e dal confronto sociale per tendere alla vera collaborazione.

    Nessuno di noi è forte in ogni cosa e scoprire il tallone di Achille dell’altro ci fa sentire meno sbagliati, più vicini, più desiderosi di conoscerci in profondità, di andare oltre per aiutarci e sostenerci.

    Essere vulnerabili ci rende capaci di comprendere in profondità le difficoltà degli altri ed essere gentili con noi stessi, accogliendo anche ciò che più di noi non ci sembra perfetto.

    La debolezza è anche una preziosissima fonte di apprendimento e di crescita quando diventa consapevole, poiché ci consente di lasciare andare qualcosa e di aprire spazio a possibilità nuove.

    Non è un caso se ogni rivoluzione inizia con il coraggio di riconoscere le proprie fragilità. L’insoddisfazione per il proprio status quo è la più grande spinta al progresso.

     

    Cosa succede quando un leadership team dichiara apertamente le proprie debolezze?

    Lo abbiamo visto succedere in tante aziende e questo è quello che è accaduto.

    La condivisione delle reciproche fragilità ha consentito una trasformazione fondamentale nella dinamica del gruppo e lo sviluppo di un ambiente ricco di fiducia e autenticità.

    Mani che si stringono

    La collaborazione è cresciuta davvero: con la consapevolezza delle aree di crescita di ciascuno, i membri del team hanno pianificato di lavorare insieme per compensare i rispettivi punti deboli, sfruttando i punti di forza di ognuno. Questo approccio sinergico sta portando decisioni più ponderate e un progresso collettivo verso il futuro desiderato.

    Oggi questi team hanno sposato una cultura di apprendimento e sviluppo personale. Inviano un messaggio forte all’intera organizzazione: è normale non essere perfetti, e c’è sempre spazio per crescere e migliorare.

    Un altro risultato evidente è stato un miglioramento nell’innovazione e nella risoluzione dei problemi. Con la consapevolezza delle debolezze altrui, le persone hanno iniziato a sostenersi a vicenda, offrendo il proprio unico set di abilità e competenze.

    Abbiamo anche assistito a un aumento dell’empatia e del sostegno reciproco. Questa onestà e richiesta di supporto ha portato tra le persone un maggiore livello di intimità e comprensione reciproca.

    La condivisione delle vulnerabilità ha creato un ambiente più umano e premuroso, una maggiore soddisfazione sul lavoro e a un morale più alto, dove ciascuno si è sentito valorizzato e compreso.

    Dal punto di vista della leadership, c’è stata una trasformazione nella percezione e nell’approccio. I leader sono diventati più accessibili e umili, il che ha rafforzato il rispetto e la fiducia da parte dei loro team.

    Hanno dimostrato che la leadership non riguarda la perfezione, ma piuttosto l’apprendimento, la crescita e la guida attraverso l’esempio.

    Soprattutto, abbiamo osservato una crescita personale e professionale significativa di tutti. Confrontarsi con le proprie debolezze e imparare dagli altri ha portato a un miglioramento nelle competenze individuali e a una maggiore autostima. Questo processo ha contribuito a sviluppare futuri leader all’interno dell’organizzazione, pronti ad affrontare sfide con una mentalità più aperta e collaborativa.

    In sintesi, questo viaggio verso la condivisione delle vulnerabilità ha non solo migliorato l’efficacia dei team, ma ha anche creato un ambiente di lavoro più sano, più solidale e più produttivo. È stato un passo fondamentale verso la creazione di organizzazioni più resilienti e adattabili ai cambiamenti e alle sfide del futuro.

    UOVO CON GERMOGLIO COLORATO

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  • immagine che raffigura connessioni, energia, colori

    La Leadership Cosciente: Guidare il Cambiamento verso un Futuro Sostenibile

    Nel contesto attuale, caratterizzato da un sistema adattivo complesso, flessibile e multiforme, la leadership riveste un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

    Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) che vogliamo realizzare richiedono connessione e co-creazione; si traducono in azioni coordinate, sociali, economiche e ambientali, a livello regionale, nazionale, internazionale. Sono realizzabili se si creano connessioni, reti tra società, enti governativi, istituzioni educative. Chi può compiere queste difficili imprese? Chi ha il ruolo di “mettere insieme i puntini?”

     

    Schema leadership cosciente, rappresentazione grafica

    Siamo immersi nella complessità. Come facciamo ad impattare su questo sistema, a trasformarlo, a raggiungere gli SDGs?

    Non bastano regolamenti chiari e politiche ben progettate. Spesso ciò che fa la differenza è l’ispirazione, la lungimiranza e la capacità di comunicare che solo un vero leader conosce, per guidare azioni coordinate e movimenti sociali in cui le persone sono coese e allineate.

    L’effetto del leader sui sistemi complessi è indiretto e imprescindibile; avviene attraverso la manifestazione di un’identità organizzativa e di uno scopo verso cui le persone tendono e confluiscono.

    I leader possono seminare e coltivare un perché collettivo, attivare cambiamenti sociali e adottare molteplici approcci.

    Per anni le aziende hanno cercato di tracciare l’identikit di chi guida il cambiamento. Hanno indagato spesso le competenze da sviluppare per essere leader di successo.

    Oggi ci stiamo chiedendo: come si rappresenta il mondo il leader ad alto impatto trasformativo? Come organizza nel suo cervello l’esperienza che vive?

    Gli studi ci dicono che il ruolo della leadership è centrale per volgere davvero le azioni collettive verso la sostenibilità e la longevità, ma che una caratteristica tra tutte fa la differenza e risiede nello sviluppo della coscienza.

     

    La Leadership della Trasformazione:

    Il leader della trasformazione ha un’autoconsapevolezza elevata e un senso di coscienza allargato che gli permettono di passare rapidamente da un punto di vista all’altro, di cogliere le connessioni tra le cose, di leggere i segnali sottili con un’ampia sensibilità e un fine ascolto, ma soprattutto, di organizzare le esperienze e i punti di osservazione per costruire senso e trovare significato.

     

    La Coscienza come Strumento di Auto-Riflessione:

    La nostra coscienza orienta il nostro focus attentivo e mette in luce il rapporto tra ciò di cui siamo consapevoli e ciò che rimane nascosto. È indicativa di cosa notiamo, cosa sentiamo o meno sotto la nostra responsabilità, come valutiamo l’impatto di ciò che facciamo.

    Quando è estesa e ampiamente sviluppata ci permette di avere un’identità dinamica e quest’ultima ci abilita ad uno sguardo più critico, profondo e olistico anche verso le nostre convinzioni, le nostre abitudini e i nostri modi di pensare. Ci aiuta anche a prendere le distanze da noi stessi, il tempo necessario per ricavare un punto di vista diverso che completa il quadro. Noi diventiamo oggetti nella nostra riflessione e ci guardiamo nel nostro divenire.

    Questa capacità di auto-riflessione è un tratto distintivo dei leader coscienti e consapevoli, la cui rappresentazione del mondo e di sé stessi è radicata nel sentire e nella recettività di ciò che accade intorno.

    Forse è questo l’ingrediente più prezioso per avere davvero un impatto concreto sull’evoluzione sostenibile della nostra società.

    Forse è questo l’ingrediente che ci serve per coltivare una longeva eredità.

    Qualcuno concretizza, il leader cosciente sente.

    Quando siamo davanti ad una scena difficile da comprendere possiamo agire in due modi:
    Possiamo semplificare, quindi concretizzare e dettagliare, eliminando, al contempo, ciò che è fuori dalla nostra rappresentazione schematica; oppure possiamo rimanere comunque recettivi, malleabili e pronti a includere.

    Il leader con un alto livello di coscienza è spirituale e sensoriale allo stesso tempo, poiché è profondamente ancorato al sentire e a ciò che succede intorno, mentre coglie i sottili punti di contatto tra le cose per trovare significati.

    L’espansione del sentire ci aiuta a riconoscerli.

    Un esempio?

    Per alcuni, il benessere umano equivale al proprio, per altri corrisponde al bene per la famiglia e per i propri cari. Per altri ancora è il Bene della comunità, del paese, del mondo intero.

    Tutte le persone desiderano benessere e felicità, in questo sono uguali, ma in scala sono diverse.

    Il leader altamente cosciente è recettivo, malleabile, inclusivo ed espande il raggio di questa scala. “guarda senza una ragione apparente” e considera il benessere del mondo una sua priorità.

    Wikipedia.it

    Huile sur toile (1925) de Vassily Kandinsky. Musée National d’Art Moderne, Paris, France. Donation Nina Kandinsky 1976. AM 1976-856

     

    La Fusione tra Spiritualità e Leadership:

    La spiritualità, intesa come capacità di vedere oltre, diventa parte integrante della leadership consapevole.

    In questa cornice, la tendenza umana universale a “volere di più” non è rivolta a un regno materiale, ma a qualcosa di intangibile che diventa una forza trainante delle azioni e risiede dello scopo profondo che sentiamo di voler perseguire.

    La Guida verso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile:

    Il contesto attuale richiede una nuova prospettiva sulla leadership, che vada oltre l’acquisizione di abilità e conoscenze tecniche. È necessario concentrarsi sulla coltivazione dell’autocoscienza, dell’empatia e dello scopo nei leader, affinché possano comprendere i propri pensieri e le proprie credenze, i propri valori e il proprio scopo, allargando la loro plasticità, e la loro prospettiva. Si tratta di un impegno continuo e profondo. È un viaggio che richiede percezione, apprendimento e adattabilità.

    Solo attraverso una leadership consapevole e orientata al Bene Comune si può sperare di trasformare le sfide globali in opportunità e guidare il mondo verso un futuro sostenibile.

    Ecco perché oggi avere uno spazio di sviluppo personale è estremamente prezioso per guardare con lungimiranza e apertura verso gli SDGs.

    Le organizzazioni, in quest’ottica, diventano centri di trasformazione, in cui i manager hanno lo spazio di guardare dentro sé stessi e di lavorare insieme per diventare agenti del cambiamento tanto desiderato dal mondo. Le gerarchie tradizionali si sciolgono, aprendo spazio all’innovazione, alla collaborazione e all’autonomia. Le aziende assumono il ruolo guida nella sostenibilità, dove il profitto non è più l’unico motore, ma diventa un veicolo per il benessere di tutte le parti coinvolte e dell’ambiente in cui operano.

     

    Una curiosità?

    Per esercitare questo livello di consapevolezza le ricerche ci raccontano che non c’è niente di meglio di una storia mitica, dell’ispirazione artistica, di una favola ad alto impatto. Questi tipi di storie alimentano lo scopo dell’agire, tramandano messaggi e significati e sono carichi di spiritualità.

     

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  • MONICA PALIAGA


    COSA FACCIO IN HERMES 

    In Hermes sono Coach e Senior Trainer, affianco le persone in cammini di Formazione, Coaching, Mentoring e consulenza strategica, individuando nel singolo la forza del gruppo e nel gruppo la forza di ogni piccolo contributo.


    COSA MI MUOVE

    Il riuscire a creare, valorizzare e implementare la condivisione e le connessione tra e con altre persone, è uno dei motivi  che ogni giorno mi dà la spinta e l’energia per sostenere e supportare cambiamenti nel breve e lungo periodo.


    SU DI ME

    La resilienza e la comunicazione sono elementi chiave per arrivare nella profondità del mondo che è attorno e dentro di noi. Esattamente come nella musica, ognuno ha un modo unico e speciale di essere letto ed interpretato.

    Per questo motivo, nei miei oltre 20 anni di esperienza certificata in corsi di Inner Game, Assessment e Coaching, mi impegno affinché ogni risorsa possa avere il suo spazio di espressione, ogni voce possa essere ascolta e compresa, in una prospettiva di armonia e condivisione.


    MI PRESENTO CON UN OGGETTO

    L’infinito per me è un simbolo di cambiamento ed evoluzione, poiché rappresenta un concetto senza confini né limiti.

    Abbracciando l’idea di un movimento costante e senza confini, possiamo vivere una vita in cui siamo sempre aperti alle opportunità di apprendere, adattarci e crescere, continuamente. 

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  • Uomo vitruviano moderno al centro di un quartiere finanziario

    Il cambiamento aziendale ad alta intensità umana

    Essere attori di un cambiamento in azienda non può prescindere dal comprendere le dimensioni più profonde che lo riguardano. Di fronte a un cambiamento non si può improvvisare. Piuttosto, è necessario parlare delle persone che lo realizzano attivamente, dei loro bisogni, della loro anima, della loro esperienza soggettiva, da inquadrare all’interno dell’ecosistema che li accoglie.

    Possiamo leggere il cambiamento come un prisma che si origina da più dimensioni integrate tra di loro.

    Hermes: il messaggero del cambiamento aziendale

    Il cambiamento è per l’umanità una storia millenaria. È da sempre una nostra attitudine, che ci rende umani e vivi in quanto tali. Ha sempre avuto un’alta risonanza in noi.

    Fin dall’antichità, la filosofia di Eraclito ci ha insegnato che “tutto si muove e nulla sta fermo“. Ogni cosa, anche la più statica, se guardata da più lontano, può essere letta come in divenire continuo, che sia veloce o che sia lento.

    Hermes, per gli antichi greci era facilitatore di passaggio, scambio e transito. S’incarnava nel concetto di passaggio da un luogo all’altro, da una condizione all’altra. La sua natura aveva a che fare col mutamento delle vicissitudini umane, con lo scambio di informazioni e di beni commerciali.  Era il dio che rappresentava la comunicazione, la velocità, l’agilità e la capacità di adattamento.

    Tutte qualità, queste, che possono essere applicate anche nel contesto aziendale di oggi. Hermes può simboleggiare il cambiamento all’interno dei sistemi organizzativi, poiché incarna la capacità di gestire una trasformazione in modo rapido ed efficace, di comunicare con chiarezza e trasparenza con le persone coinvolte nel processo e di adattarsi alle nuove esigenze e sfide del mercato.

    Come Hermes portava agli uomini le parole e volontà degli dèi, così il cambiamento in azienda richiede un messaggero che sia in grado di comunicare efficacemente i nuovi obiettivi, le nuove sfide e strategie per il futuro a tutti gli attori coinvolti, aiutando l’azienda a navigare con successo e portando con sé un messaggio di fiducia e di speranza.

    Il cambiamento in azienda: un viaggio di rinascita da affrontare a tappe

    Tuttavia, essere al corrente della dimensione mitologica del cambiamento non è abbastanza per poter essere agenti attivi del cambiamento all’interno di un’organizzazione. Oggi, in un contesto costellato da incertezza e complessità, ci chiediamo come poter essere realmente fautori di un cambiamento. Per farlo serve una metodologia. Come scrisse diversi anni fa Kurt Lewin, uno dei padri della psicologia sociale e del lavoro, le organizzazioni, proprio come organismi biologici, si adattano all’ambiente, raggiungono un equilibrio, un omeostasi, così da opporsi naturalmente a qualsiasi perturbazione possa sconvolgerli.

    Il cambiamento, perciò, non può mai avvenire in maniera rapida, come quando si accende o si spegne una lampadina. Per renderlo parte integrante dell’organizzazione e solidificare un nuovo paradigma è importante percorrere un processo a tappe.

    Anzitutto, dobbiamo scongelarci dall’inverno di un paradigma precedente che sentiamo stretto e appartenente a un passato, ma che al contempo ci rappresenta e ci fa sentire sicuri. È necessario decidere di cambiare norme e strutture, generare una motivazione diffusa all’interno dell’azienda volta a spostare il proprio baricentro, a rinunciare a qualcosa di facile e abitudinario che riesce bene fare.

    Secondariamente, il percorso di cambiamento viene studiato, realizzato e infine intrapreso, con una strategia chiara e una guida che alimenti quotidianamente la fiducia delle persone così da fare in modo che il nuovo processo si consolidi e diventi un’abitudine, al pari della precedente.

    Come una farfalla che esce dal suo bozzolo e si trasforma da bruco a essere alato, l’azienda che affronta il cambiamento deve essere pronta ad abbandonare le vecchie abitudini e a trasformarsi in qualcosa di nuovo e migliore. La trasformazione di una farfalla richiede tempo, impegno e pazienza. In modo simile, il cambiamento in azienda richiede un processo graduale di adattamento, in cui l’organizzazione deve sperimentare nuove idee, nuove strategie e nuovi modi di fare le cose. In entrambi i casi, la trasformazione può essere dolorosa e difficile, ma alla fine porta a una nuova forma di vita, più bella e più forte di quella precedente.

     

     

    Il faro verso cui tendere è situato sempre nello scopo, in un Purpose condiviso dalle persone che popolano le organizzazioni. La magnitudo, la dimensione economica del cambiamento, i ruoli degli attori, le fasi, gli ostacoli e le conseguenze di una trasformazione sono da presidiare costantemente. Kurt Lewin, in tal senso, ci indica come la gestione del cambiamento debba avvenire attraverso un viaggio, un processo a fasi che possa sfociare in nuove prospettive per le Risorse Umane. Queste, infatti, possono facilitare tra le persone un aumento di consapevolezza relativa al cambiamento e stimolare una comunicazione bidirezionale tra la popolazione in azienda e la direzione, cercando di rafforzarne la fiducia reciproca.

    L’uomo al centro del cambiamento in azienda

    La corretta gestione del cambiamento in azienda necessita che le fasi di questo viaggio siano ben pianificate, che gli attori comunichino in modo trasparente tra loro e soprattutto che le azioni siano people-centred, ovvero che il focus primario siano le persone e il modo in cui il cambiamento può impattare su di loro.

    Da un punto di vista biologico, l’azienda può essere vista come un organismo vivente, un sistema cellulare fatto di interconnessioni.

    Come una molecola che subisce una reazione chimica, il cambiamento può provocare una serie di effetti sulle persone. È dunque primario comprendere motivazioni, ragioni e storie personali di quanti vengono coinvolti all’interno dei processi di cambiamento. Mettersi nei panni dell’altro è vitale per permettere di creare un senso di co-empatia ed evolvere all’interno di una dimensione di ascolto proattivo, così da comprendere quanto più possibile il modo in cui gli altri percepiscono il mondo.

    persone che parlano tra loro in aziendaNessuno cambia da solo. Il valore del cambiamento si esprime in tutta la sua forza nella capacità di connettersi con l’altro, percependone emozioni e pensieri, comprendendone i sentimenti ma al contempo mantenendo distinti i nostri.

    In questo viaggio, le persone che popolano l’azienda co-costruiscono un percorso trasformativo e si adoperano affinché tutti insieme raggiungano il cambiamento che s’intende realizzare. Ognuno di noi è parte integrante di questo processo.

    Siamo davanti a una trasformazione culturale, a un nuovo umanesimo che pone le persone al centro del cambiamento.

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