MONICA PALIAGA
Coach & Senior Trainer
monica.paliaga@hermesconsulting.com
https://www.linkedin.com/in/monica-paliaga-trasforma-il-tuo-valore-in-performance/
Il futuro ci sta raggiungendo, e questa volta sembra essere in anticipo.
Il CEO ci guarda negli occhi e chiede: “Siamo pronti?”
Ma per cosa?
Pronti a sfidare i paradigmi esistenti, ad abbracciare un nuovo modo di pensare e agire di fronte alla rapida evoluzione del panorama aziendale.
Perché, in effetti, non si tratta solo di capitalizzare le funzioni dei sistemi tecnologici acquistati dal CIO.
Il tempo presente mette in discussione la stessa visione del lavoro e dell’organizzazione e chiede di adottare una mentalità più aperta e fiduciosa verso le persone e gli strumenti che possono aiutarci.
Perciò possiamo dire che ci troviamo di fronte all’esigenza di sostituire vecchie credenze limitanti con visioni e credenze nuove, con le quali modellare questa realtà.
Quando parliamo di credenze, ci riferiamo a quei pensieri che settano i perché della realtà che osserviamo.
Spesso questi perché sono legati ad un passato antropologico e sociale: l’individualismo e il capitalismo, enfatizzando l’interesse personale e il profitto, alimentano l’idea di una netta separazione tra bene della proprietà e quello dei dipendenti. Il dualismo cartesiano e il management scientifico Tayloristico promuovono una visione meccanicistica e gerarchica del lavoro, dove chi pensa e progetta è separato da chi esegue e mette a terra.
Facciamo esempi di credenze oggi ancora molto diffuse:
“I dipendenti lavorano duro solo per i bonus.”
“I manager decidono, i dipendenti eseguono. Questo è cruciale per l’efficienza.”
“La standardizzazione dei compiti massimizza la produttività.”
“Le decisioni importanti richiedono la mia approvazione.”
“Concentrarsi sui risultati a breve termine è più pragmatico che seguire visioni astratte.”
“Se le persone fanno lo smart working, non lavorano.”
Riconosciamo in queste convinzioni l’applicazione delle precedenti correnti di separazione che originano una divisione tra “genitore che guida” e “bambini che eseguono”. Mancano gli adulti sul palcoscenico del presente.
Ricordiamo a noi stessi che essere adulti significa essere capaci di autonomia, di responsabilità e contribuire attraverso opere creative a far evolvere la realtà.
Essere adulto significa accogliere l’altro in un incontro generativo, non solo alimentato da aspettative. Significa vedere l’impatto del proprio agire, diversamente da come farebbe un bambino. Significa essere presente, parte attiva e responsabile, oltre il dimostrare o rendicontare.
Possiamo dirci che ancora gli approcci prevalenti nell’organizzazione del lavoro si basano sulla diffidenza verso gli “adulti”, introducendo sistemi disciplinanti, intesi a circoscrivere e contenere la responsabilità e la capacità generativa?
Molte aziende hanno seguito il cambiamento presente preoccupandosi solo di adempiere a nuove leggi a sostegno di modelli più fluidi e integrati, ma non hanno modificato forme e processi, perché quei leader hanno mantenuto stili manageriali “disciplinanti”, anziché di co creazione. Questi approcci già limitavano fortemente il potenziale produttivo delle aziende prima della diffusione pervasiva delle tecnologie digitali.
Oggi, di fronte all’AI accompagnata dal machine learning, si rischia non solo di schiacciare l’individuo che non è trattato come adulto, ma di eliminare dall’azienda la stessa possibilità di fare innovazione. In altri termini, senza gli adulti, ciao ciao al vantaggio competitivo.
Forse, la credenza bloccante l’evoluzione del nostro sistema è quella che la creazione di valore risulti dalla negoziazione tra posizioni di “bene privato”, come teorizzava Adam Smith. E una conferma a questa ipotesi è nel crescente numero di organizzazioni che mettono nelle loro agende la sostenibilità, senza comprenderne il beneficio comune.
Ma che cos’è la sostenibilità se non una dimensione del Bene Comune?
Ed è proprio il Bene Comune la credenza da scegliere, perché è qui che leader e collaboratori si possono incontrare come adulti, portando ancora una volta ognuno la propria dimensione di bene privato ma nella prospettiva di tenere solo quelle parti che possono contribuire alla creazione di un futuro sostenibile per tutti.
Trattiamoci da adulti, co-creaiamo, così bilanciamo la prevedibilità dell’algoritmo, con l’imprevedibilità umana, “disciplinata” da un patto per il Bene Comune che la orienta interiormente e abilita il futuro.
Ottimizzare la Coesione di Squadra: Un team building sulla cresta dell’onda
Già vent’anni fa il mondo contemporaneo era stato descritto come VUCA, volatile, incerto, complesso, ambiguo. Oggi a questa riflessione è stata aggiunta quella riassunta nell’acronimo BANI, Brittle ossia fragile, Ansioso, Non lineare, talvolta incomprensibile.
Insieme queste teorizzazioni ci suggeriscono una vista difficile sul futuro, sia guardando da fuori, che guardandoci dentro.
Le organizzazioni si trovano a dover affrontare un ambiente imprevedibile e in costante mutamento dove la complessità è tale da non rendere sufficiente una semplificazione, piuttosto necessita di uno sguardo sistemico in grado di cogliere segnali sottili e pattern ricorrenti. Questo scenario globale richiede una navigazione attenta e strategica nella nebbia, simile a quella di un velista che affronta mari in tempesta, dove ogni raffica di vento può cambiare le regole del gioco improvvisamente ed è indispensabile riconfigurare la rotta quando necessario.
La barca a vela diventa così una metafora potente per le aziende di oggi: solo con resilienza, agilità e una squadra che si muove in sinergia come un corpo unico, verso un obiettivo comune, si possono affrontare e superare le onde.
Ma quali strategie possiamo adottare per rafforzare queste qualità essenziali nei team?
Presentiamo qui il caso di un team di Ricerca e Sviluppo, il cui compito è quello di traghettare l’azienda di cui fa parte verso il futuro tecnologico e sostenibile. È in continua interazione con realtà e personalità diverse, in un panorama mutevole dove la sua capacità di guida sinergica è indispensabile.
Per orientare e sostenere il futuro dell’organizzazione, è fondamentale che ogni membro del gruppo condivida una strategia comune e si senta parte di un’unica entità. Noi abbiamo accompagnato ciascuno di loro in un’esperienza di team building sulla barca a vela: un’opportunità per rafforzare l’identità della squadra e promuoverne la collaborazione.
La Navigazione come Paradigma Organizzativo
La squadra ha scelto di “Navigare verso il futuro”. La barca, se la intendiamo come il microcosmo di un’organizzazione, e non soltanto un veicolo, ci delinea in modo chiaro che ogni componente ha un ruolo definito e che il successo della missione dipende dalla perfetta armonia tra queste parti. Si riesce a mantenere la rotta solo se ogni membro dell’equipaggio ha la capacità di eseguire il proprio compito in sintonia con gli altri.
La navigazione in mare aperto è anche uno stimolo ad essere flessibili e a cogliere l’incertezza, il caos, l’assenza di confini e l’orizzonte allo stesso tempo. È un continuo esercizio di problem solving per la risoluzione di imprevisti, uno spazio sospeso per coltivare uno sguardo nuovo, aperto, creativo e orientato alla possibilità.
Competizione e Collaborazione: Il Concetto di “Cum-Petizione”
Il team building era fondato sul principio della “cum-petizione” che richiama insieme competizione e collaborazione e riporta l’attenzione sull’etimologia del significato di “competere”: “andare avanti insieme” o “cercare insieme”. Sia in mare che nel business, le sfide sono continue e imprevedibili. La cum-petizione guida le persone a stimolarsi reciprocamente verso l’eccellenza, mantenendo sempre l’obiettivo di progredire all’unisono.
La Metafora della Barca per il Team Building
In un panorama aziendale che si evolve velocemente, l’adattabilità e la collaborazione sono cruciali. Quale miglior modo per sperimentare questo se non su una barca, dove ogni decisione, grande o piccola, ha un impatto diretto sull’intero equipaggio?
In mare, ogni marinaio è essenziale. Non c’è spazio per l’isolamento o la divisione; ogni azione, ogni decisione, ha ripercussioni immediate sul gruppo. Navigare richiede una comunicazione chiara, una fiducia incondizionata e una comprensione profonda dei propri compagni di squadra. Ogni onda, ogni cambiamento di vento, rappresenta le sfide impreviste che incontriamo quotidianamente.
Proprio come in azienda, su una barca non si può semplicemente “uscire” quando le cose si fanno difficili.
Si deve trovare una soluzione, lavorare insieme e navigare attraverso le sfide.
Durante la traversata, i partecipanti non erano solo spettatori passivi. Avevano la libertà di scegliere e pianificare la rotta, adattandosi alle condizioni mutevoli e impreviste. Questo ha promosso una vera mentalità di squadra, dove la collaborazione e dialogo si sono rivelati essenziali.
Molte decisioni sono state prese rapidamente e sotto pressione, negoziare non è stato sempre facile, ma al superamento di ogni ostacolo è seguito sempre un momento di trionfo comune.
Alla fine del viaggio i partecipanti, non solo hanno rafforzato i propri legami come team, ma hanno anche sperimentato una nuova fiducia gli uni verso gli altri, uno stile di leadership inedito, una forte dose di coraggio e una strategica attitudine al problem solving.
Uno degli elementi chiave è stata continua rotazione dei ruoli all’interno dell’equipaggio, che ha permesso a ciascun partecipante di sperimentare diverse responsabilità e di mettersi nei panni degli altri. Questo processo ha favorito la flessibilità e la consapevolezza del fatto che ogni incarico ha un impatto profondo, diretto o indiretto, sul sistema.
Obiettivi e Risultati
Il programma di team building mirava a consolidare le relazioni, a promuovere una mentalità orientata alla crescita e a sviluppare una leadership collettiva che guarda al futuro. Ogni attività e decisione presa durante la navigazione è stato un passo concreto verso il raggiungimento di questi obiettivi e uno specchio del funzionamento della squadra.
Benefici Neuroscientifici della Navigazione
La navigazione non è solo una metafora potente per le dinamiche aziendali, ma anche un’attività che, secondo le neuroscienze, offre benefici tangibili. L’ambiente marino stimola la produzione di neurotrasmettitori che riducono lo stress e aumentano il benessere, la concentrazione e l’apertura all’esplorazione, mentre la necessità di prendere decisioni rapide e di adattarsi alle condizioni in continuo cambiamento migliora le capacità cognitive e promuove la neuroplasticità cerebrale.
Conclusione
L’esperienza di team building in barca a vela si è rivelata non solo un potente esercizio di costruzione del team, ma anche un’immersione in un ambiente che promuove il benessere mentale e la crescita personale. Questa avventura ha rafforzato l’identità di squadra e ha sottolineato l’importanza della collaborazione per guidare il futuro dell’azienda.
Coach & Senior Trainer
monica.paliaga@hermesconsulting.com
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In Hermes sono Coach e Senior Trainer, affianco le persone in cammini di Formazione, Coaching, Mentoring e consulenza strategica, individuando nel singolo la forza del gruppo e nel gruppo la forza di ogni piccolo contributo.
Il riuscire a creare, valorizzare e implementare la condivisione e le connessione tra e con altre persone, è uno dei motivi che ogni giorno mi dà la spinta e l’energia per sostenere e supportare cambiamenti nel breve e lungo periodo.
La resilienza e la comunicazione sono elementi chiave per arrivare nella profondità del mondo che è attorno e dentro di noi. Esattamente come nella musica, ognuno ha un modo unico e speciale di essere letto ed interpretato.
Per questo motivo, nei miei oltre 20 anni di esperienza certificata in corsi di Inner Game, Assessment e Coaching, mi impegno affinché ogni risorsa possa avere il suo spazio di espressione, ogni voce possa essere ascolta e compresa, in una prospettiva di armonia e condivisione.
L’infinito per me è un simbolo di cambiamento ed evoluzione, poiché rappresenta un concetto senza confini né limiti.
Abbracciando l’idea di un movimento costante e senza confini, possiamo vivere una vita in cui siamo sempre aperti alle opportunità di apprendere, adattarci e crescere, continuamente.
Essere attori di un cambiamento in azienda non può prescindere dal comprendere le dimensioni più profonde che lo riguardano. Di fronte a un cambiamento non si può improvvisare. Piuttosto, è necessario parlare delle persone che lo realizzano attivamente, dei loro bisogni, della loro anima, della loro esperienza soggettiva, da inquadrare all’interno dell’ecosistema che li accoglie.
Possiamo leggere il cambiamento come un prisma che si origina da più dimensioni integrate tra di loro.
Hermes: il messaggero del cambiamento aziendale
Il cambiamento è per l’umanità una storia millenaria. È da sempre una nostra attitudine, che ci rende umani e vivi in quanto tali. Ha sempre avuto un’alta risonanza in noi.
Fin dall’antichità, la filosofia di Eraclito ci ha insegnato che “tutto si muove e nulla sta fermo“. Ogni cosa, anche la più statica, se guardata da più lontano, può essere letta come in divenire continuo, che sia veloce o che sia lento.
Hermes, per gli antichi greci era facilitatore di passaggio, scambio e transito. S’incarnava nel concetto di passaggio da un luogo all’altro, da una condizione all’altra. La sua natura aveva a che fare col mutamento delle vicissitudini umane, con lo scambio di informazioni e di beni commerciali. Era il dio che rappresentava la comunicazione, la velocità, l’agilità e la capacità di adattamento.
Tutte qualità, queste, che possono essere applicate anche nel contesto aziendale di oggi. Hermes può simboleggiare il cambiamento all’interno dei sistemi organizzativi, poiché incarna la capacità di gestire una trasformazione in modo rapido ed efficace, di comunicare con chiarezza e trasparenza con le persone coinvolte nel processo e di adattarsi alle nuove esigenze e sfide del mercato.
Come Hermes portava agli uomini le parole e volontà degli dèi, così il cambiamento in azienda richiede un messaggero che sia in grado di comunicare efficacemente i nuovi obiettivi, le nuove sfide e strategie per il futuro a tutti gli attori coinvolti, aiutando l’azienda a navigare con successo e portando con sé un messaggio di fiducia e di speranza.
Il cambiamento in azienda: un viaggio di rinascita da affrontare a tappe
Tuttavia, essere al corrente della dimensione mitologica del cambiamento non è abbastanza per poter essere agenti attivi del cambiamento all’interno di un’organizzazione. Oggi, in un contesto costellato da incertezza e complessità, ci chiediamo come poter essere realmente fautori di un cambiamento. Per farlo serve una metodologia. Come scrisse diversi anni fa Kurt Lewin, uno dei padri della psicologia sociale e del lavoro, le organizzazioni, proprio come organismi biologici, si adattano all’ambiente, raggiungono un equilibrio, un omeostasi, così da opporsi naturalmente a qualsiasi perturbazione possa sconvolgerli.
Il cambiamento, perciò, non può mai avvenire in maniera rapida, come quando si accende o si spegne una lampadina. Per renderlo parte integrante dell’organizzazione e solidificare un nuovo paradigma è importante percorrere un processo a tappe.
Anzitutto, dobbiamo scongelarci dall’inverno di un paradigma precedente che sentiamo stretto e appartenente a un passato, ma che al contempo ci rappresenta e ci fa sentire sicuri. È necessario decidere di cambiare norme e strutture, generare una motivazione diffusa all’interno dell’azienda volta a spostare il proprio baricentro, a rinunciare a qualcosa di facile e abitudinario che riesce bene fare.
Secondariamente, il percorso di cambiamento viene studiato, realizzato e infine intrapreso, con una strategia chiara e una guida che alimenti quotidianamente la fiducia delle persone così da fare in modo che il nuovo processo si consolidi e diventi un’abitudine, al pari della precedente.
Come una farfalla che esce dal suo bozzolo e si trasforma da bruco a essere alato, l’azienda che affronta il cambiamento deve essere pronta ad abbandonare le vecchie abitudini e a trasformarsi in qualcosa di nuovo e migliore. La trasformazione di una farfalla richiede tempo, impegno e pazienza. In modo simile, il cambiamento in azienda richiede un processo graduale di adattamento, in cui l’organizzazione deve sperimentare nuove idee, nuove strategie e nuovi modi di fare le cose. In entrambi i casi, la trasformazione può essere dolorosa e difficile, ma alla fine porta a una nuova forma di vita, più bella e più forte di quella precedente.
Il faro verso cui tendere è situato sempre nello scopo, in un Purpose condiviso dalle persone che popolano le organizzazioni. La magnitudo, la dimensione economica del cambiamento, i ruoli degli attori, le fasi, gli ostacoli e le conseguenze di una trasformazione sono da presidiare costantemente. Kurt Lewin, in tal senso, ci indica come la gestione del cambiamento debba avvenire attraverso un viaggio, un processo a fasi che possa sfociare in nuove prospettive per le Risorse Umane. Queste, infatti, possono facilitare tra le persone un aumento di consapevolezza relativa al cambiamento e stimolare una comunicazione bidirezionale tra la popolazione in azienda e la direzione, cercando di rafforzarne la fiducia reciproca.
L’uomo al centro del cambiamento in azienda
La corretta gestione del cambiamento in azienda necessita che le fasi di questo viaggio siano ben pianificate, che gli attori comunichino in modo trasparente tra loro e soprattutto che le azioni siano people-centred, ovvero che il focus primario siano le persone e il modo in cui il cambiamento può impattare su di loro.
Da un punto di vista biologico, l’azienda può essere vista come un organismo vivente, un sistema cellulare fatto di interconnessioni.
Come una molecola che subisce una reazione chimica, il cambiamento può provocare una serie di effetti sulle persone. È dunque primario comprendere motivazioni, ragioni e storie personali di quanti vengono coinvolti all’interno dei processi di cambiamento. Mettersi nei panni dell’altro è vitale per permettere di creare un senso di co-empatia ed evolvere all’interno di una dimensione di ascolto proattivo, così da comprendere quanto più possibile il modo in cui gli altri percepiscono il mondo.
Nessuno cambia da solo. Il valore del cambiamento si esprime in tutta la sua forza nella capacità di connettersi con l’altro, percependone emozioni e pensieri, comprendendone i sentimenti ma al contempo mantenendo distinti i nostri.
In questo viaggio, le persone che popolano l’azienda co-costruiscono un percorso trasformativo e si adoperano affinché tutti insieme raggiungano il cambiamento che s’intende realizzare. Ognuno di noi è parte integrante di questo processo.
Siamo davanti a una trasformazione culturale, a un nuovo umanesimo che pone le persone al centro del cambiamento.
Esistono le aziende “Disneyane?”, dove il contributo di ognuno è frutto di passioni e credo condivisi?
Secondo Simon Sinek esistono, sono quelle che creano la loro cultura e definiscono la propria attività partendo dai perché.
Sappiamo perché facciamo quello che facciamo? Sappiamo perché la nostra azienda lavora a quello a cui sta lavorando?
Perché è stato proprio Martin Luter King a creare il movimento per i diritti civili? Non era l’unico uomo che ha sofferto l’America della segregazione razziale e non era neanche il migliore oratore tra tutti.
Perché lui allora?
Perché i fratelli Wright sono stati in grado di rendere gli esseri umani capaci di volare? Come mai proprio loro hanno creato l’aeromobile, se altri con più qualifiche e con più denaro, non ci sono riusciti?
C’è qualcos’altro che gioca un ruolo fondamentale, qualcosa che non c’entra con le risorse fisiche e tangibili che abbiamo a disposizione.
3-4 anni fa Simon ha fatto una scoperta, che ha cambiato la sua visione di come funziona il mondo e di come agire al meglio.
C’è un pattern, rintracciabile in tutti i grandi leader e in tutte le aziende che ispirano il mondo. Loro pensano, agiscono, comunicano, nello stesso modo, molto diverso da tutti gli altri. Tutto quello che ha fatto Simon è stato codificarlo. In un cerchio dorato
Questo cerchio spiega perché i grandi leader sono abili a ispirare gli altri.
Tutte le persone, nelle organizzazioni, conoscono quello che fanno ogni giorno: Il 100% è informato. Pochissimi conoscono il perché, e non è mai “generare profitto” il motivo per cui un business ha vita, il profitto non è che un risultato.
Le organizzazioni più longeve hanno sempre chiara la risposta, indipendentemente dalla loro estensione e dal loro tipo di attività, lo trasmettono agli utenti e alle loro persone.
Tutti gli altri si raccontano partendo dal loro servizio offerto, perché è tangibile ed evidente sempre ai loro occhi.
Rispondere con un servizio ai bisogni di un’utente non è sufficiente.
L’ aspirazione migliore, e più strategica, è fare business con persone che credono in quello in cui crede l’azienda. Questo è l’unico vero garante di stabilità.
Le persone non comprano quello che fai, comprano perché lo fai
E questa scoperta non è una semplice assunzione, non è neanche frutto di esperimenti di psicologia. È biologia.
Il cervello umano può essere schematizzato in tre parti
La neocorteccia corrisponde al livello del COSA. È quella deputata al linguaggio e al pensiero razionale e analitico. Le ricerche confermano che in tutte le maratone arriva sempre per ultima.
Il sistema limbico è responsabile delle emozioni, e di gran parte del decision making, sta a metà del cerchio (HOW). Dà forma ai nostri sentimenti ed è profondamente collegato alla parte più profonda e primitiva del nostro cervello, quella rettile.
Il cervello rettile risponde direttamente della nostra sopravvivenza, cerca ragioni istintivamente, per capire se può fidarsi o non fidarsi dell’altro (WHY),
La fiducia e la lealtà, i comportamenti, le decisioni, non hanno grande spazio per le parole e prescindono dal controllo di tutte le informazioni di dettaglio, perché nascono tutte dal centro di questo cerchio.
Quando comunichiamo da fuori a dentro le persone possono capire una serie di informazioni dettagliate e complesse, che riguardano benefici, qualità, fatti, figure, ma questo non è un driver del comportamento abbastanza potente.
Quando invece comunichiamo da dentro il cerchio verso fuori, parliamo direttamente alle parti del cervello che sono responsabili dell’avvicinamento o dell’allontanamento, dei comportamenti più istintivi, che poi le persone razionalizzano con le informazioni aggiuntive e tangibili nel “WHAT”.
Questo è il sistema con cui vengono prese le decisioni dalla maggior parte delle persone.
“L’homo economicus”, logico e razionale, non esiste, ormai lo sappiamo da diversi anni.
Tutte le informazioni del mondo non alimentano l’avvicinamento. Gli interlocutori potrebbero comunque dire: “conosco tutti i fatti e i dettagli, ma comunque non mi sembra il servizio giusto per me, non sono convinto.”
Perché questa sensazione?
Perché la parte che controlla davvero le decisioni non controlla, né conosce il linguaggio del dettaglio. Tutte le decisioni di “cuore”, di “pancia”, avvengono al livello del centro di questo cerchio. Le informazioni sul “Cosa” poi sono un acceleratore finale.
Il traguardo che bisogna porsi di raggiungere non è avere persone che vogliono quello che abbiamo, ma persone che credono in quello che crediamo.
Lo stesso ragionamento può essere fatto quando si seleziona il personale, o si costruisce qualsiasi team. Il punto non è solo scegliere le persone che sanno fare bene un lavoro, ma trovare chi scelga di farlo perché crede in quello in cui crede l’azienda.
Se recluti persone solo per quel che sanno fare, lavoreranno per lo stipendio. Se le selezioni perché credono in quello in cui credi lavoreranno con passione.
La perfetta esemplificazione di questo è nella storia dei fratelli Wright.
Siamo nel 20° secolo, di fronte a uno degli imprenditori più promettenti all’epoca. Ha appena ricevuto 50.000 dollari dal dipartimento di guerra per sviluppare un dispositivo che consenta all’uomo di volare ed è stato scelto per la sua incredibile formazione ad Harvard. Così ha assunto le migliori menti ha creato la sua squadra. Le condizioni di mercato erano ottime. Il New York Times lo seguiva per documentare ogni scoperta. Tutti facevano il tifo per lui.
Molte centinaia di miglia più lontano…
In Dayton Ohio, Orville e Wilbur Wright non avevano nulla che potesse essere definito come ricetta per il successo, né grandi fondi, né menti brillanti, fresche di College. Pagavano i loro progetti con il ricavato di un negozio di biciclette.
Orville e Wright erano guidati da un credo potente: se fossero riusciti a ideare e progettare questa macchina volante, la macchina avrebbe cambiato il corso del mondo. Il favorito del New York Times, invece, voleva diventare ricco e famoso ma l’obiettivo non aveva per lui un significato più profondo di questo.
Il team dei Wright lavorava ininterrottamente, con passione, e con tutte le forze. La squadra avversaria lavorava giusto per la generosa busta paga.
17 dicembre 1903, i fratelli hanno preso il volo e il mondo lo ha saputo solo alcuni giorni dopo.
Nell’estate 1963, 250.000 persone sono andate nello stesso posto per ascoltare Martin Luter King parlare, senza un invito scritto.
Il Dr. King non era l’unico uomo in America ad essere un grande oratore. Ma aveva un dono. Non è andato in giro a raccontare alle persone di cosa c’era bisogno per cambiare l’America: lui ha raccontato alle persone in COSA LUI CREDEVA.
“Io credo, io credo, io credo” e anche le persone ci credevano. Le persone hanno preso la sua causa, l’hanno resa la loro e hanno trasmesso, ad altre persone, la stessa cosa.
Quante delle 250.000 persone davanti a lui erano lì per lui? ZERO. Erano lì per essere testimoni di ciò che credevano per la loro America.
King disse: “I have a dream”. Non disse “I have a plan”.
Per Simon chi guida davvero, ispira
NOI SEGUIAMO CHI GUIDA, NON PER LORO, MA PER NOI STESSI.
Sono quelli che iniziano con il perché.
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