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  • alt="Innovazione Felix e impatto ambientale nell'intelligenza artificiale"

    Innovazione “Felix”: La voce di Hermes Consulting

    INTRODUZIONE

    Nel contesto di una riflessione approfondita sull’innovazione tecnologica e le implicazioni etiche e ambientali, Giulia Terracciano, Responsabile della Comunicazione in Hermes Consulting, ha avuto l’opportunità di esplorare queste tematiche in un’intervistata approfondita con Vincenzo Di Martino, Consultant & Coach in Hermes Consulting ed esperto nel campo.

    L’intervista ha affrontato temi chiave:

    • Impatto ambientale dell’AI, spesso sottovalutato nel dibattito politico;
    • Crescente desiderio di un ritorno ai valori umani;
    • La necessità da parte delle nuove generazioni di un equilibrio tra innovazione e sostenibilità.

    Un momento di luce su come possiamo guidare l’innovazione tecnologica verso un futuro più “felix”.

    Giulia: Vincenzo, quali sono, secondo te, i principali aspetti dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società e sull’ambiente che la percezione pubblica tende a sottovalutare?

    Vincenzo: Più che una sottovalutazione del problema ambientale, credo semplicemente che non venga quasi preso in considerazione questo tema, o meglio che se ne parli davvero troppo poco a livello di dibattito pubblico e aziendale.

    Eppure, gli studi sull’impatto ambientale delle nuove tecnologie sono chiari e consolidati.

    Ad esempio, uno studio pubblicato in diverse riviste scientifiche e depositato all’ONU, intitolato Making AI less: Thirsty: Unicovering and Addressing the Secret Water Footprint of AI Models”, evidenzia il problema dell’acqua nello sviluppo dell’IA.

    Per addestrare modelli come GPT-3, nei moderni data center staalt="Innovazione Felix e impatto ambientale nell'intelligenza artificiale"tunitensi di Microsoft, si utilizzano circa 700.000 litri d’acqua dolce pulita, equivalenti alla produzione di circa 370 auto BMW o 320 auto Tesla.

    In un momento in cui rapporti come quelli di Amnesty International denunciano che oggi molte persone diventano profughi a causa della mancanza di acqua, definendolo come fenomeno di migrazione climatica.

    Un altro dato significativo riguarda il consumo di energia e le emissioni di CO2. L’addestramento di GPT-3 ha consumato circa 1.287 MWh e ha portato a emissioni di oltre 550 tonnellate di anidride carbonica, equivalenti a 550 voli andata e ritorno New York-San Francisco.

     

    Con l’evoluzione verso GPT-4, che richiede più parametri, i consumi energetici aumentano ulteriormente.

    Giulia: Quali passi dovrebbero essere intrapresi per allineare meglio la percezione con la realtà?

    Vincenzo: È necessario sensibilizzare le persone e formare adeguatamente sia chi sviluppa la tecnologia sia chi la utilizza. Andrebbe diffusa una cultura di consapevolezza rispetto all’intelligenza artificiale. Oltre a migliorare l’addestramento degli strumenti, è importante riflettere in modo serio sull’impatto ambientale di queste tecnologie.

    Le persone devono essere informate e coinvolte in un dialogo consapevole sull’argomento.

    Giulia: In riferimento a questo correre dietro all’innovazione, si è osservato un ritorno ai valori umani. Le persone si stanno interrogando sulle proprie capacità e sul proprio essere, chiedendosi: “Quale posto occupo io? Quale contributo posso dare al mondo ora che le tecnologie possono fare le cose al posto mio?” Secondo te, perché sta avvenendo tutto questo?

    Vincenzo: C’è un recupero di quella che in filosofia si chiama “opzione fondamentale”: la scelta personale su chi siamo e cosa facciamo in questo mondo.

    La felicità, intesa come realizzazione del proprio potenziale, è un concetto che risale ai latini.

    Ad esempio, un campo o un albero felix era considerato tale quando produceva i frutti che era destinato a produrre.

    Un albero di mele è felix se genera mele, non se genera fragole, indipendentemente da quanto buone possano essere le fragole.

    Questo concetto si applica anche alle persone: ciascuno di noi deve realizzare il proprio potenziale unico per trovare la propria felicità e il proprio posto nel mondo.

    Le persone stanno recuperando questa consapevolezza, riflettono sul proprio contributo unico alla comunità umana. Le giovani generazioni, in particolare, stanno riscoprendo la relazionalità costitutiva dell’essere umano. Gli strumenti tecnologici rischiano di toglierci questa qualità, e i giovani stanno facendo da campanello d’allarme, chiedendo di recuperare un modo di stare insieme di qualità.

    Questo desiderio di etica è chiaro nei giovani, specialmente riguardo all’ambiente.

    La sfida è tradurre questa voglia di etica in scelte concrete e pragmatiche.

     

    Giulia: Secondo te le nuove generazioni stanno mettendo in moto una salvaguardia dell’ecosistema e di sé stessi, evitando che si arrivi alla deriva?

    Vincenzo: Assolutamente sì. Prendersi cura di sé è un atto etico fondamentale.

    Dal momento in cui sto meglio io, stanno meglio anche le persone che si relazionano con me.

    Questo concetto sta entrando anche nel mondo aziendale, dove i giovani non sono più disposti a rinunciare a valori profondi per il lavoro. Le aziende dovrebbero sostenere questa attenzione e aiutare anche le generazioni più adulte a recuperarla, evitando che le persone si ammalino o siano insoddisfatte. È importante creare un ambiente lavorativo dove si faccia cultura e si promuova l’incontro e il dialogo tra le persone.

     

     

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  • LA MAGIA DELL’OUTDOOR CULTURALE®: UNA METAFORA CHE TRASFORMA

    HBR: Il sogno della maggior parte degli Amministratori Delegati e degli HR Manager è trovare una forma di “magia”, che aiuti le persone a cambiare facilmente mentalità, per adattarsi in tempi rapidi ai cambiamenti con pensieri e comportamenti nuovi, per un mondo che grida evoluzione.

    Chiediamo a Hermes Consulting, Società Benefit di Firenze, che da 30 anni accompagna i cambiamenti nelle aziende. Come affrontate questo bisogno di magia?

    Monia Russo Partner di Hermes Consulting parla dell'approccio Outdoor Culturale per il cambiamento aziendale

     Monia Russo, Partner di Hermes: Abbiamo sviluppato una metodologia proprietaria a questo scopo, chiamata Outdoor Culturale®.

    Una storia che a mio avviso racconta gli effetti di questa magia è quella di un AD di un gruppo internazionale General Contractor, che avendo cambiato la struttura organizzativa, doveva convincere i 5 Direttori Generali delle diverse country a collaborare, condividere le grandi attrezzature per le costruzioni e armonizzare le risorse nella gestione delle gare di appalto.

    Dopo più di un anno di tentativi non andati a buon fine, ci ha contattati per capire cosa ci fosse “che non andava in queste persone” perché non riusciva a farle lavorare in un modo diverso.

    Abbiamo incontrato ad uno ad uno i Direttori e abbiamo progettato un offsite di due giorni a Siena, con una visita ispirativa al ciclo di affreschi del Bene Comune di Ambrogio Lorenzetti, che si trova nel Museo Civico della città.

    Attraverso una narrazione, impostata sul costrutto metodologico delle metafore ericksoniane, abbiamo ricalcato la situazione che ci avevano raccontato l’Amministratore e i Direttori in fase di analisi.

    Sempre attraverso la narrazione dell’opera, abbiamo suggerito e ispirato delle soluzioni, in linea con quanto prevedeva la riorganizzazione aziendale.

    Nel momento della riflessione, successiva alla visita, l’Amministratore Delegato è rimasto molto colpito dal cambiamento che il gruppo ha manifestato.

    Uno degli episodi più rappresentativi di questa trasformazione, è stato quando il più anziano dei Direttori, anche il più resistente, ha trovato, grazie alle suggestioni della metafora, una forte connessione con il proprio lavoro: “Avete visto cosa facevano i contadini di Siena? Condividevano le macchine e risparmiavano, potremmo farlo anche noi!”.

    La magia è stata che da quel giorno, l’implementazione del sistema matriciale si è realizzata con molta più facilità e i Direttori, durante la gestione degli appalti, hanno iniziato a scambiarsi buone pratiche e macchinari.

    Come scatta la magia?

    Alessandro Rizzi ideatore metodologia Outdoor Culturale Hermes Consulting

    Alessandro Rizzi, uno degli ideatori della metodologia: Portiamo i Team reali o interfunzionali, a vivere esperienze a stretto contatto con la storia dell’arte, dentro installazioni artistiche, mostre e capolavori dell’architettura.

    La struttura dell’Outdoor Culturale® riesce, attraverso il potere della metafora, ad accendere la sfera emotiva della mente, risvegliando così la motivazione e la proattività delle persone, stimolandone anche il pensiero critico e razionale.

    Ottiene come prodotto l’accelerazione dei cambiamenti richiesti dal contesto e il raggiungimento più facile dei risultati. Grazie agli stimoli che le metafore artistiche creano, le persone vivono un momento di consapevolezza, che permette loro di vedere agite le proprie dinamiche di comportamento, scorgendo nuove soluzioni, trovando punti di convergenza e immaginando assieme futuri possibili.

    Questo approccio utilizza l’isomorfismo (una corrispondenza di forme e strutture) tra l’esperienza dell’azienda e la rappresentazione artistica, per aprire finestre inedite e produrre salti di pensiero più veloci.

    Come costruire le metafore in modo che siano efficaci?

    Monia Russo: Ogni narrazione artistica viene costruita in modo che il “sentire di una realtà aziendale”, che raccogliamo attraverso interviste e focus group, sia traslato nella storia, così che si crei un rispecchiamento nei partecipanti e si possa creare un collegamento tra l’esperienza metaforica raccontata e il futuro che l’azienda desidera perseguire.

    Questo permette di vivere la propria storia aziendale collegata a valori e scopi personali, consente di vedersi e sentirsi raccontati e infine di osservare il presente e il futuro da un punto di vista esterno. Questo processo intensivo culmina nella proiezione sulla realtà lavorativa, per immaginarla, dopo l’esperienza, in modo diverso e introdurre dei cambiamenti reali.

    L’Outdoor Culturale® dà un’identità precisa ai problemi e la presentazione metaforica della tematica trattata, consente ai partecipanti di arricchire la loro prospettiva, allargare il proprio mindset e la vista, individuando così nuove soluzioni.

    La traduzione del vissuto interiore, in termini razionali, consente di trasferire nel quotidiano quanto appreso metaforicamente.

    L’esperienza genera una sorta di mappa mentale, che permette di affrontare situazioni simili, nella realtà presente e futura, con consapevolezza.

    In questi anni abbiamo sviluppato percorsi con diverse finalità nelle principali città d’arte italiane, che sono delle vere e proprie esperienze magiche!

     

    Perché unite la narrazione metaforica proprio all’arte?

    Alessandro: L’arte ha in sé un codice aperto e arriva dritta al cuore prima ancora di essere “letta”. Ha un linguaggio polisegnico, quindi soggetto a molteplici interpretazioni. Muove processi profondi e permette di lavorare sulla propria realtà, mantenendo una distanza dalla quotidianità, funzionale a superare i propri blocchi e a mettere in risalto i propri vissuti. Permette di partire da ciò che le persone sentono nel profondo e sviluppa strategie di cambiamento radicate in questo sentire.

    Edith Kramer, pittrice e terapeuta, diceva che “l’opera d’arte è un contenitore di emozioni” e Vygotskij, uno dei padri della psicologia, parlava della creatività e dell’immaginazione come elementi necessari per stimolare la ricerca di nuove soluzioni e aprire le porte al cambiamento.

    Pertanto, l’arte non è una fuga dalla realtà, anzi permette di incorniciarla, di conoscerla meglio, guardandola con nuovi occhi, osservandola da punti di vista diversi. Consente inoltre di esprimere concetti che rimarrebbero altrimenti celati e magari censurati, se utilizzassimo solo il canale verbale. L’arte concede il permesso alle persone e alle organizzazioni di pensare in modo diverso, parla una lingua “universale” compresa quella dell’inconscio che è in grado di liberare risorse latenti.

    I progetti migliori non hanno solo una struttura ben studiata, hanno soprattutto un’anima palpabile che prende forma grazie alla combinazione tra metafora terapeutica e arte.

     

    Cosa rende questa metodologia un catalizzatore di progettazioni sostenibili e mirate alla longevità dei contesti organizzativi?

    Diego Piovan Partner di Hermes Consulting parla di sostenibilità e Outdoor Culturale

    Diego Piovan, Partner: La sostenibilità è diventata un imperativo non solo ambientale, ma anche economico e sociale. Richiede una leadership che vada oltre i tradizionali modelli gestionali, che sia piuttosto olistica, adattiva e radicata in una profonda comprensione dei sistemi complessi.

    L’Outdoor Culturale® è in linea con tutte le ultime scoperte legate alla leadership della complessità. La ricerca di Barrett C. Brown (2011), executive coach ed esperto globale sullo sviluppo della leadership, sostiene che solo leader con sistemi di significato avanzati possono progettare e gestire uno sviluppo sostenibile.

    Per prepararli a questa sfida, spiega che le esperienze più formative, partono da una profonda base interiore, radicata in valori e principi che guidano non solo la visione, ma anche la strategia di iniziative sostenibili. Permettono di mettere in gioco risorse interne ed espandono il “sentire”, la recettività e la coscienza.

    Secondo la ricerca di Manners, J., & Durkin, K. (2000), la coscienza si espande a contatto con esperienze rilevanti di natura interpersonale, con un alto impatto emotivo, che vadano oltre le norme e le aspettative esistenti per catalizzare la crescita.

    Questi elementi sono contenuti dell’Outdoor Culturale® che sollecita tutte le 5 dimensioni che, secondo il capostipite della psicologia positiva Martin Seligman, costituiscono ogni esperienza di pienezza: emozioni positive, coinvolgimento autentico ed immersivo, condivisione, senso di scopo e di contribuzione, sperimentazione dell’autoefficacia nel raggiungimento di un risultato.

    Ogni partecipante, così come ogni team, esce profondamente cambiato, in contatto con un nuovo sentire, capace di attivare le risorse per affrontare le sfide della sostenibilità.

    Come possono contattarvi le aziende per organizzare un Outdoor Culturale®?

    Potete scriverci a questi indirizzi:

    Per ulteriori approfondimenti clicca qui:

    Portfolio Outdoor Culturale®

    Approfondimento Outdoor Culturale® 

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  • WORK-LIFE BALANCE: DALLA GENITORIALITÀ AL CAREGIVING – NUOVE FRONTIERE DEL WELFARE AZIENDALE

    Introduzione

    Le politiche di welfare aziendale stanno attraversando un periodo di significativo cambiamento, con un’attenzione crescente verso il Work-Life Balance (WLB).

    Il concetto di Work-Life Balance si riferisce alla capacità delle persone di gestire efficacemente il lavoro e la vita privata.

    Storicamente, queste politiche si sono concentrate principalmente sui genitori, ma oggi emerge la necessità di un approccio più inclusivo.

    I cambiamenti degli scenari globali hanno evidenziato il bisogno delle organizzazioni di adattarsi alle nuove esigenze e priorità delle persone.

    Secondo i dati ISTAT 2023l’Italia ha registrato un nuovo record nel calo delle nascite, con 197.000 nascite in meno rispetto al 2008 (72% in meno).

    Questo fenomeno non è isolato all’Italia, ma è osservabile in molti paesi occidentali, dove le priorità stanno cambiando e la vita sta assumendo forme diverse.

    Questi dati pongono importanti interrogativi:

    • Qual è il mindset di oggi?
    • Quali forme di responsabilità si evolveranno maggiormente domani?
    • Quali punti d’attenzione?

    Qual è il mindset di oggi?

    Con il calo della natalità, si registra un aumento significativo di lavoratori e lavoratrici che scelgono di non diventare genitori. Tuttavia, la cultura attuale spesso riserva importanti stereotipi a queste scelte di vita.

    In molti contesti lavorativi, le persone senza figli sono viste come “senza qualcosa”, ossia senza impegni che giustificherebbero un minore bisogno di supporto per l’equilibrio vita-lavoro.

    Questo stereotipo (bias) riguarda maggiormente le donne senza figli.

    A livello sociale, persiste la convinzione che una donna raggiunga la piena realizzazione solo attraverso la maternità, un bias che tende a oscurare altre forme di realizzazione personale e professionale.

    La ricerca di Verniers (2020) e Ashburn-Nardo (2016) ha dimostrato che le persone senza figli, indipendentemente dal genere, sono percepite in modo meno favorevole rispetto a coloro che sono genitori. Questo perché la scelta di non avere figli è vista come una violazione delle norme sociali, portando alla visione stereotipata che chi non ha figli abbia più tempo da dedicare al lavoro.

    In che modo valutiamo la meritevolezza di supporto?

    La percezione della meritevolezza e il giudizio sociale sono processi complessi che coinvolgono diverse aree del cervello. Le neuroscienze hanno identificato alcune aree chiave implicate in questi processi:

    Corteccia Prefrontale Mediale: coinvolta nella valutazione di sé e degli altri, nella presa di decisioni morali e nel giudizio sociale;

    Corteccia Cingolata Anteriore: contribuisce alla valutazione delle emozioni e alla regolazione delle risposte emotive

    Amigdala: importante per la risposta a stimoli emotivamente significativi

    Insula: coinvolta nella consapevolezza delle emozioni e nella percezione del disgusto e di altre emozioni negative.

    Queste aree lavorano insieme per formare giudizi complessi riguardanti la meritevolezza delle persone. Ad esempio, quando valutiamo se un collega merita maggiore supporto, la Corteccia Prefrontale Mediale può essere coinvolta nella valutazione delle sue esigenze e dei suoi contributi, mentre la Corteccia Cingolata Anteriore e l’Amigdala possono influenzare le nostre risposte emotive a tale valutazione.

    Un ulteriore esempio comune riguarda gli anziani, considerati maggiormente meritevoli di supporto per i contributi dati alla società e al mercato del lavoro. Al contrario, i disoccupati sono percepiti meno meritevoli, talvolta perché il loro status è attribuito a una mancanza di sforzo personale.

     

    Lo studio di Filippi e colleghi (2020) ha evidenziato che i dipendenti con figli sono spesso considerati più meritevoli di supporto per il Work-Life Balance rispetto ai loro colleghi senza figli. Questo bias si riflette anche nelle valutazioni delle donne, dove le madri sono viste come maggiormente bisognose di flessibilità rispetto alle donne senza figli.

    È fondamentale riconoscere che la vita privata delle persone senza figli può essere altrettanto piena di attività come quella di un genitore. Hobby, cura personale, volontariato, studio o semplicemente tempo libero contribuiscono al benessere e alla produttività generale del lavoratore o della lavoratrice.

    Quali forme di responsabilità si evolveranno maggiormente domani?

    Il Caregiving è l’attività di assistenza e cura prestata a una persona non autosufficiente, che può essere un familiare, un amico o una persona cara con disabilità, malattie croniche o anzianità.

    Questo ruolo, svolto principalmente dai familiari, include una vasta gamma di attività, dall’assistenza fisica e sanitaria al supporto emotivo e organizzativo.

    Secondo le stime della Commissione Europea, il valore delle ore di assistenza a lungo termine fornite dai caregiver informali è pari a circa il 2,5% del PIL dell’Unione Europea, una cifra superiore alla spesa pubblica per l’assistenza a lungo termine (Adecco Italia).

    In Italia, il 15,4% della popolazione fornisce cure o assistenza almeno una volta a settimana, con una maggiore incidenza tra le donne (17,6%) rispetto agli uomini (12,9%).

    Questo dato evidenzia che, nonostante molte persone scelgano di non avere figli, non sono esenti da responsabilità di caregiving. Infatti, un numero significativo si trova a prendersi cura di familiari anziani o malati. Queste persone, oltre a coltivare le loro passioni personali, dedicano una parte considerevole del loro tempo e delle loro energie alla cura quotidiana di parenti non autosufficienti.

    Il ruolo di caregiver familiare si estende ben oltre la genitorialità, includendo una vasta gamma di attività di assistenza che influenzano profondamente la vita quotidiana e il benessere psicofisico di chi lo svolge.

    Questo impegno, spesso sottovalutato, è cruciale per il supporto delle persone care e necessita di un riconoscimento e un supporto adeguato dalle politiche di welfare aziendale.

    Quali punti di attenzione?

    Il primo passo da compiere è riconoscere il valore e le esigenze delle persone, indipendentemente dal fatto che siano genitori o meno.

    Offrire flessibilità e supporto a tutti i dipendenti, considerando le diverse forme di responsabilità di cura, può migliorare significativamente il benessere e la produttività sul posto di lavoro.

    In un mondo in cui le priorità e le forme di vita cambiano, le aziende possono scegliere di adottare un approccio inclusivo e adattabile alle diverse esigenze dei loro dipendenti.

    Senza dimenticare le prospettive del futuro, una popolazione che invecchia e le nascite diminuiscono, per arrivare al domani nel miglior modo possibile.

    Conclusioni

    Le aziende hanno l’opportunità di creare un ambiente di lavoro più inclusivo e sostenibile, che valorizzi ogni dipendente e le sue specifiche esigenze. Riconoscere il valore del caregiving e delle altre forme di impegno personale e professionale contribuirà a costruire organizzazioni più resilienti e soddisfatte, capaci di rispondere alle sfide del domani.

     

    Clicca qui per ulteriori approfondimenti: https://mailchi.mp/hermesconsulting.com/work-life-balance-avere-o-non-avere-figli-quali-impatti

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  • Alfa e Omega: il ciclo del cambiamento in Anselm Kiefer

    INTRODUZIONE

    Ogni fine coincide con un nuovo inizio

    Inizio e fine, fine e inizio, due estremi di una stessa linea temporale dove l’uno diventa causa ed effetto dell’altro. Come ogni alfa ha la sua omega, ogni sistema la sua evoluzione.

    In questo eterno divenire, quale posto occupiamo?

    Il tempo è la casa che costruiamo e arrediamo con ciò che abbiamo, rendendola migliore anche per chi verrà dopo di noi. Il nostro compito, quindi, non è solo esistere, ma migliorare, innovare, trasformare ogni passaggio in una evoluzione continua.

    Il corso del tempo non lo possiamo fermare, ma possiamo influenzarne il cammino, il modo di percepirlo e il significato da dargli.

    Abbiamo una responsabilità immensa, ma lo è anche la nostra capacità di creare e trasformare.

    Anselm Kiefer, L’Arte del Tempo

    Inizio e fine diventano così un ciclo, perpetuo, esplorato magistralmente da Anselm Kiefer, un artista contemporaneo di grande fama internazionale che con sensibilità e profondità trasforma le storie del suo passato, intrise del dolore e della complessità della memoria, in un linguaggio artistico unico.

    La sua mostra “Angeli Caduti”, ospitata a Palazzo Strozzi, a Firenze, dal 24 marzo 2024 al 21 luglio 2024 è un manifesto di riflessione sul passare del tempo.

    Durante l’intera mostra, Kiefer ci guida verso una consapevolezza crescente: le cose della vita mutano continuamente, e il tempo diventa il guardiano che, con tocco lieve, segna un prima e un dopo.

    Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio

    I segni di questo tempo?

    I materiali, ad esempio, che compongono l’installazione artistica: piombo, cenere, argilla, semi. Questi elementi sono soggetti al tempo, mutano e si trasformano proprio come la vita.

    Il piombo si ossida, cambia colore, diventa fragile, simbolo della trasformazione e della caducità della condizione umana. Il piombo che è da sempre in attesa di essere trasformato da attente e delicate procedure alchemiche.

    La cenere, residuo di ciò che è stato consumato, evoca la rinascita, il ciclo perpetuo di nascita e morte.

    Argilla e semi rappresentano la potenzialità, la capacità di generare nuova vita anche nelle condizioni più avverse.

    In questo eterno ciclo di inizio e fine quindi, il nostro posto, la nostra opportunità è quello di essere custodi del tempo ma anche capaci di trasformare e innovare, lasciando un segno per le generazioni future. La nostra missione, quella di ogni essere umano, è rendere il passaggio nel tempo non solo sopportabile, ma degno di essere vissuto.

    Luci e Ombre

    Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio

    L’occhiello della mostra “Engelssturz” è un’opera di oltre sette metri di altezza che cattura lo sguardo di qualsiasi passante. Posizionata nel cortile rinascimentale del palazzo, l’installazione rappresenta in modo chiaro e toccante l’Apocalisse in cui l’Arcangelo Michele combatte gli angeli ribelli, come Lucifero che da prediletto e «portatore di luce» diventa esiliato e anche qui la sua fine coincide con un suo nuovo inizio. Un tema che risuona tra spirito e materia, tra bene e male e che rappresenta una potente metafora della nostra incessante battaglia interiore.

    Scegliere di fare del Bene diventa un comportamento che decidiamo di mettere in atto ogni giorno nelle più piccole cose. Un’abitudine, un costume da salvaguardare e sviluppare, che prende in considerazione l’individualità di ognuno di noi ma anche da una maggiore consapevolezza della collettività, la stessa collettività che nasce da storie passate che insegnano quali destini vogliamo raggiungere, quali nuovi inizi possiamo innescare.

    L’opera, con il suo color oro brillante e luminoso, toglie il fiato. Rappresenta ciò che dovrebbe essere elevato, ma riflette anche su come il presente potrebbe mutare e influire sul domani se non modifichiamo il nostro modo di agire.

    Una nave che deve essere indirizzata oltre il confine del “noi” attuale, verso le distese del “noi” di domani. Una continuazione dell’arto della collettività odierna, che progredisce nel futuro assumendo forme sempre più pure, buone e condivise. Pratiche che fanno bene.

    Costruire il Domani con i Frammenti di Ieri

    Nella condizione umana abbiamo la straordinaria capacità di risistemare il tiro, raccogliere i frammenti dei passi perduti, e voltarci indietro sulla linea del tempo.

    È proprio da quel punto di fine che possiamo comprendere tutto ciò che ci ha condotto fino a lì. Solo così possiamo andare avanti, senza dimenticare quanto fatto fino a quel momento, aggiungendo chilometri di strade al futuro che costruiamo per il “noi” del domani e per i nostri eredi.

    Ogni errore, ogni frammento raccolto, diventa un mattoncino con cui edificare un domani migliore. La distruzione non è fine a sé stessa, ma un passaggio necessario per la creazione. E in questo continuo divenire, il nostro sguardo non si perde nel passato, ma si àncora al presente per proiettarsi nel futuro. La nostra missione è costruire, migliorare, ed evolvere, con la consapevolezza che ogni passo, anche il più incerto, contribuisce alla nostra crescita e a quella delle generazioni future.

    Conclusione

    Il continuum di alfa e omega rappresenta l’eterno fluire della realtà, dove ogni fine contiene il seme del suo nuovo inizio e ogni inizio a sua volta coincide con l’inizio della fine (contiene il seme della sua fine).

    Questo ciclo perpetuo può essere osservato nel mondo naturale e nella nostra stessa esistenza. Nulla è statico; tutto è in costante movimento e mutamento.

    Cosa significa?

    La stabilità diventa un’illusione, l’equilibrio tanto auspicato dal mondo intero risiede nel cambiamento, nella crescita. Basti pensare che nel mercato globale l’evoluzione è rapida, ogni fine ciclo economico, ogni fallimento di un progetto rappresentano un’opportunità di innovazione e rinascita.

    Come vedere la realtà con occhi diversi?

    Possiamo provare a riconoscere laddove possibile la natura ciclica del successo e del fallimento che sono condizioni inevitabili, ad oggi, per la costruzione di un futuro sostenibile. Senza temere il buio e senza voler a tutti i costi raggiungere sempre e solo la luce.

    Senza disordine non percepiamo l’ordine e senza il buio non capiamo cosa sia la luce.

    Come due facce della stessa medaglia, non possiamo gioire del giorno se non conosciamo la notte.

    Anselm Kiefer, con la sua arte, ci offre una visione: anche nei momenti più bui, c’è sempre la possibilità di una nuova alba.

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  • Adulti in Azienda: La Rivoluzione del Lavoro che Serve Ora

    Di Daniela Oliboni e Gianandrea Iapichino

    Il futuro ci sta raggiungendo, e questa volta sembra essere in anticipo.

    Il CEO ci guarda negli occhi e chiede: “Siamo pronti?”

    Ma per cosa?

    Pronti a sfidare i paradigmi esistenti, ad abbracciare un nuovo modo di pensare e agire di fronte alla rapida evoluzione del panorama aziendale.

     

    Perché, in effetti, non si tratta solo di capitalizzare le funzioni dei sistemi tecnologici acquistati dal CIO.

    Il tempo presente mette in discussione la stessa visione del lavoro e dell’organizzazione e chiede di adottare una mentalità più aperta e fiduciosa verso le persone e gli strumenti che possono aiutarci.

     

    Perciò possiamo dire che ci troviamo di fronte all’esigenza di sostituire vecchie credenze limitanti con visioni e credenze nuove, con le quali modellare questa realtà.

    Quando parliamo di credenze, ci riferiamo a quei pensieri che settano i perché della realtà che osserviamo.

    Spesso questi perché sono legati ad un passato antropologico e sociale: l’individualismo e il capitalismo, enfatizzando l’interesse personale e il profitto, alimentano l’idea di una netta separazione tra bene della proprietà e quello dei dipendenti. Il dualismo cartesiano e il management scientifico Tayloristico promuovono una visione meccanicistica e gerarchica del lavoro, dove chi pensa e progetta è separato da chi esegue e mette a terra.

     

    Facciamo esempi di credenze oggi ancora molto diffuse:

    “I dipendenti lavorano duro solo per i bonus.”

    “I manager decidono, i dipendenti eseguono. Questo è cruciale per l’efficienza.”

    “La standardizzazione dei compiti massimizza la produttività.”

    “Le decisioni importanti richiedono la mia approvazione.”

    “Concentrarsi sui risultati a breve termine è più pragmatico che seguire visioni astratte.”

    “Se le persone fanno lo smart working, non lavorano.”

     

    Riconosciamo in queste convinzioni l’applicazione delle precedenti correnti di separazione che originano una divisione tra “genitore che guida” e “bambini che eseguono”. Mancano gli adulti sul palcoscenico del presente.

     

    Ricordiamo a noi stessi che essere adulti significa essere capaci di autonomia, di responsabilità e contribuire attraverso opere creative a far evolvere la realtà.

    Essere adulto significa accogliere l’altro in un incontro generativo, non solo alimentato da aspettative. Significa vedere l’impatto del proprio agire, diversamente da come farebbe un bambino. Significa essere presente, parte attiva e responsabile, oltre il dimostrare o rendicontare.

     

    Possiamo dirci che ancora gli approcci prevalenti nell’organizzazione del lavoro si basano sulla diffidenza verso gli “adulti”, introducendo sistemi disciplinanti, intesi a circoscrivere e contenere la responsabilità e la capacità generativa?

     

    Molte aziende hanno seguito il cambiamento presente preoccupandosi solo di adempiere a nuove leggi a sostegno di modelli più fluidi e integrati, ma non hanno modificato forme e processi, perché quei leader hanno mantenuto stili manageriali “disciplinanti”, anziché di co creazione. Questi approcci già limitavano fortemente il potenziale produttivo delle aziende prima della diffusione pervasiva delle tecnologie digitali.

     

    Oggi, di fronte all’AI accompagnata dal machine learning, si rischia non solo di schiacciare l’individuo che non è trattato come adulto, ma di eliminare dall’azienda la stessa possibilità di fare innovazione. In altri termini, senza gli adulti, ciao ciao al vantaggio competitivo.

     

     

    Forse, la credenza bloccante l’evoluzione del nostro sistema è quella che la creazione di valore risulti dalla negoziazione tra posizioni di “bene privato”, come teorizzava Adam Smith. E una conferma a questa ipotesi è nel crescente numero di organizzazioni che mettono nelle loro agende la sostenibilità, senza comprenderne il beneficio comune.

     

    Ma che cos’è la sostenibilità se non una dimensione del Bene Comune?

    Ed è proprio il Bene Comune la credenza da scegliere, perché è qui che leader e collaboratori si possono incontrare come adulti, portando ancora una volta ognuno la propria dimensione di bene privato ma nella prospettiva di tenere solo quelle parti che possono contribuire alla creazione di un futuro sostenibile per tutti.

    Trattiamoci da adulti, co-creaiamo, così bilanciamo la prevedibilità dell’algoritmo, con l’imprevedibilità umana, “disciplinata” da un patto per il Bene Comune che la orienta interiormente e abilita il futuro.

     

     

     

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  • IL SENSO DI SICUREZZA E L’EREDITÀ DI BRUNELLESCHI

    INTRODUZIONE

    Nella Firenze del XV secolo, Filippo Brunelleschi si trovava di fronte a un’impresa senza precedenti: costruire la cupola del Duomo di Firenze, un progetto che avrebbe richiesto non solo ingegnosità architettonica ma anche un nuovo approccio alla gestione del lavoro.

    Il punto di partenza era: “Come riuscire a costruire la Cupola e riducendo al minimo i rischi, data la forma particolarmente complessa e ancora incompiuta rispetto al resto dell’edificio?”

    Quando la cupola raggiunse il punto di massima curvatura, la salita e la discesa, anche più volte al giorno, dalla stessa, divennero seriamente difficoltose, gli operai dovevano affrontare il periglioso viaggio verso il suolo e viceversa. Data la situazione impervia e pericolosa, Brunelleschi, con una visione pioneristica per quei tempi, istituì la prima mensa lavorativa a 104 metri di altezza, riducendo le discese e le risalite durante l’arco della giornata.

    Questa soluzione, apparentemente semplice, rifletteva una profonda comprensione delle esigenze umane e della gestione efficiente delle risorse. Brunelleschi non solo ottimizzò il tempo e l’energia degli operai, ma migliorò anche il loro benessere, dimostrando una cura e un rispetto per il lavoro e la persona che, sebbene oggi possano sembrare ovvie, all’epoca rappresentò un approccio rivoluzionario.

    Questo gesto, fra tanti altri, anticipò i principi di ergonomia e di sicurezza sul lavoro, ponendo le basi per quello che oggi chiamiamo welfare aziendale, un concetto che sottolinea come la cura dei lavoratori sia direttamente collegata alla produttività e alla qualità del lavoro svolto. In questo modo, Brunelleschi non solo lasciò al mondo un capolavoro architettonico, ma anche una lezione senza tempo: per edificare grandi cose, prima di tutto, dobbiamo assicurarci che le fondamenta siano solide e resistenti ma al contempo occorre valutare in ogni dettaglio il modo con cui le persone che vivono i luoghi di lavoro si adoperano.

     

    LA SICUREZZA PSICOLOGICA COME BASE DEL BENESSERE ORGANIZZATIVO

    Da quando nasciamo e apriamo gli occhi, a quando muoviamo i primi passi, chi ci circonda si preoccupa di rendere l’ambiente in cui agiamo sicuro.

    PIRAMIDE MASLOW E CUPOLA

    La sicurezza rientra tra i bisogni fondamentali dell’essere umano, subito dopo le necessità fisiologiche, come mangiare e dormire. Questo è ciò che descrive A. Maslow con la sua Piramide dei Bisogni.

    L’organizzazione che valorizza la sicurezza psicologica crea l’ambiente giusto nel quale le persone si sentono incoraggiate a condividere le proprie opinioni, a sperimentare e, soprattutto, a imparare dagli errori.

    Il senso di protezione lo cerchiamo anche in altri contesti della nostra vita, come ad esempio nell’ambiente lavorativo, all’interno del quale le persone vogliono sentirsi sicure, libere da minacce fisiche e psicologiche. Solo nel momento in cui tale livello di sicurezza è garantito, emergono creatività, disponibilità all’innovazione e l’impegno autentico al cambiamento.

    Proprio come il bambino che conta sul supporto dei caregiver che gli assicurano lo spazio di esplorazione, azione e interazione nel quale muoversi.

    La “sicurezza psicologica” è un concetto introdotto da Amy Edmondson, professoressa di leadership e gestione alla Harvard Business School, definendola come: “La convinzione di poter esprimere liberamente idee, dubbi, preoccupazioni o errori senza timore di penalizzazioni o umiliazioni”.

    Questo ambiente di apertura e fiducia è il terreno fertile in cui normalmente germogliano innovazione e collaborazione.

    Si accelera così il processo di apprendimento collettivo e si rafforza anche il senso di appartenenza, di coesione interna, di squadra.

    Un ambiente sicuro dal punto di vista psicologico richiede un impegno costante da parte dei leader aziendali che dovranno essere agenti attivi per lo sviluppo di una cultura condivisa volta al rispetto reciproco e all’inclusività. Significa anche riconoscere e valorizzare il contributo di ogni singolo individuo, incoraggiando una comunicazione aperta e senza filtri.

    Così si costruiscono solide fondamenta e un benessere organizzativo efficace e produttivo, del tutto molto simile a quanto sperimentato da Brunelleschi per erigere la sua cupola.

    Il Nuovo Rinascimento del Benessere Aziendale

    Potremmo definirlo così quindi, le aziende, per costruire i loro successi economici dovranno costruire anche ambienti di lavoro che favoriscano il benessere e la realizzazione personale dei loro collaboratori ovvero assicurare un ascolto psicologico per comprendere i bisogni e liberare tutto il potenziale creativo ed energetico dei propri collaboratori.

    La domanda che ogni leader dovrebbe porsi è: “Come posso contribuire a costruire una “cupola” del benessere nella mia organizzazione, seguendo l’esempio di Brunelleschi?”

    La risposta a questa domanda non è semplice, ma riuscirci significherebbe tracciare un percorso verso un futuro del lavoro ispirato, sicuro, pienamente umano e di successi aziendali.

     

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  • Uomo vitruviano moderno al centro di un quartiere finanziario

    Il cambiamento aziendale ad alta intensità umana

    Essere attori di un cambiamento in azienda non può prescindere dal comprendere le dimensioni più profonde che lo riguardano. Di fronte a un cambiamento non si può improvvisare. Piuttosto, è necessario parlare delle persone che lo realizzano attivamente, dei loro bisogni, della loro anima, della loro esperienza soggettiva, da inquadrare all’interno dell’ecosistema che li accoglie.

    Possiamo leggere il cambiamento come un prisma che si origina da più dimensioni integrate tra di loro.

    Hermes: il messaggero del cambiamento aziendale

    Il cambiamento è per l’umanità una storia millenaria. È da sempre una nostra attitudine, che ci rende umani e vivi in quanto tali. Ha sempre avuto un’alta risonanza in noi.

    Fin dall’antichità, la filosofia di Eraclito ci ha insegnato che “tutto si muove e nulla sta fermo“. Ogni cosa, anche la più statica, se guardata da più lontano, può essere letta come in divenire continuo, che sia veloce o che sia lento.

    Hermes, per gli antichi greci era facilitatore di passaggio, scambio e transito. S’incarnava nel concetto di passaggio da un luogo all’altro, da una condizione all’altra. La sua natura aveva a che fare col mutamento delle vicissitudini umane, con lo scambio di informazioni e di beni commerciali.  Era il dio che rappresentava la comunicazione, la velocità, l’agilità e la capacità di adattamento.

    Tutte qualità, queste, che possono essere applicate anche nel contesto aziendale di oggi. Hermes può simboleggiare il cambiamento all’interno dei sistemi organizzativi, poiché incarna la capacità di gestire una trasformazione in modo rapido ed efficace, di comunicare con chiarezza e trasparenza con le persone coinvolte nel processo e di adattarsi alle nuove esigenze e sfide del mercato.

    Come Hermes portava agli uomini le parole e volontà degli dèi, così il cambiamento in azienda richiede un messaggero che sia in grado di comunicare efficacemente i nuovi obiettivi, le nuove sfide e strategie per il futuro a tutti gli attori coinvolti, aiutando l’azienda a navigare con successo e portando con sé un messaggio di fiducia e di speranza.

    Il cambiamento in azienda: un viaggio di rinascita da affrontare a tappe

    Tuttavia, essere al corrente della dimensione mitologica del cambiamento non è abbastanza per poter essere agenti attivi del cambiamento all’interno di un’organizzazione. Oggi, in un contesto costellato da incertezza e complessità, ci chiediamo come poter essere realmente fautori di un cambiamento. Per farlo serve una metodologia. Come scrisse diversi anni fa Kurt Lewin, uno dei padri della psicologia sociale e del lavoro, le organizzazioni, proprio come organismi biologici, si adattano all’ambiente, raggiungono un equilibrio, un omeostasi, così da opporsi naturalmente a qualsiasi perturbazione possa sconvolgerli.

    Il cambiamento, perciò, non può mai avvenire in maniera rapida, come quando si accende o si spegne una lampadina. Per renderlo parte integrante dell’organizzazione e solidificare un nuovo paradigma è importante percorrere un processo a tappe.

    Anzitutto, dobbiamo scongelarci dall’inverno di un paradigma precedente che sentiamo stretto e appartenente a un passato, ma che al contempo ci rappresenta e ci fa sentire sicuri. È necessario decidere di cambiare norme e strutture, generare una motivazione diffusa all’interno dell’azienda volta a spostare il proprio baricentro, a rinunciare a qualcosa di facile e abitudinario che riesce bene fare.

    Secondariamente, il percorso di cambiamento viene studiato, realizzato e infine intrapreso, con una strategia chiara e una guida che alimenti quotidianamente la fiducia delle persone così da fare in modo che il nuovo processo si consolidi e diventi un’abitudine, al pari della precedente.

    Come una farfalla che esce dal suo bozzolo e si trasforma da bruco a essere alato, l’azienda che affronta il cambiamento deve essere pronta ad abbandonare le vecchie abitudini e a trasformarsi in qualcosa di nuovo e migliore. La trasformazione di una farfalla richiede tempo, impegno e pazienza. In modo simile, il cambiamento in azienda richiede un processo graduale di adattamento, in cui l’organizzazione deve sperimentare nuove idee, nuove strategie e nuovi modi di fare le cose. In entrambi i casi, la trasformazione può essere dolorosa e difficile, ma alla fine porta a una nuova forma di vita, più bella e più forte di quella precedente.

     

     

    Il faro verso cui tendere è situato sempre nello scopo, in un Purpose condiviso dalle persone che popolano le organizzazioni. La magnitudo, la dimensione economica del cambiamento, i ruoli degli attori, le fasi, gli ostacoli e le conseguenze di una trasformazione sono da presidiare costantemente. Kurt Lewin, in tal senso, ci indica come la gestione del cambiamento debba avvenire attraverso un viaggio, un processo a fasi che possa sfociare in nuove prospettive per le Risorse Umane. Queste, infatti, possono facilitare tra le persone un aumento di consapevolezza relativa al cambiamento e stimolare una comunicazione bidirezionale tra la popolazione in azienda e la direzione, cercando di rafforzarne la fiducia reciproca.

    L’uomo al centro del cambiamento in azienda

    La corretta gestione del cambiamento in azienda necessita che le fasi di questo viaggio siano ben pianificate, che gli attori comunichino in modo trasparente tra loro e soprattutto che le azioni siano people-centred, ovvero che il focus primario siano le persone e il modo in cui il cambiamento può impattare su di loro.

    Da un punto di vista biologico, l’azienda può essere vista come un organismo vivente, un sistema cellulare fatto di interconnessioni.

    Come una molecola che subisce una reazione chimica, il cambiamento può provocare una serie di effetti sulle persone. È dunque primario comprendere motivazioni, ragioni e storie personali di quanti vengono coinvolti all’interno dei processi di cambiamento. Mettersi nei panni dell’altro è vitale per permettere di creare un senso di co-empatia ed evolvere all’interno di una dimensione di ascolto proattivo, così da comprendere quanto più possibile il modo in cui gli altri percepiscono il mondo.

    persone che parlano tra loro in aziendaNessuno cambia da solo. Il valore del cambiamento si esprime in tutta la sua forza nella capacità di connettersi con l’altro, percependone emozioni e pensieri, comprendendone i sentimenti ma al contempo mantenendo distinti i nostri.

    In questo viaggio, le persone che popolano l’azienda co-costruiscono un percorso trasformativo e si adoperano affinché tutti insieme raggiungano il cambiamento che s’intende realizzare. Ognuno di noi è parte integrante di questo processo.

    Siamo davanti a una trasformazione culturale, a un nuovo umanesimo che pone le persone al centro del cambiamento.

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