• OLTRE I CONFINI DELL’ETÀ: L’INTELLIGENZA INTERGENERAZIONALE PER UNIRE E INNOVARE

    HBR: Oggi in molte organizzazioni emerge una sfida riguardante l’intergenerazionalità che, se non affrontata e gestita, può essere foriera di una grande dispersione di energie. Ne parliamo con Hermes Consulting.

    Chiediamo il punto di vista di Diego Martone, consulente Hermes Consulting e autore del libro “Senza Età. Come generazioni diverse coesistono e insieme creano valore”.

    Attualmente nelle aziende convivono 4 generazioni, spesso descritte solo per gli elementi che esaltano le differenze di origine, cultura e linguaggio, bisogni, competenze e aspirazioni.

    Anche le indagini intergenerazionali delle aziende si imbattono in un noto luogo comune: “È difficile capirsi, vedersi, riconoscersi e parlare la stessa lingua”. Questo pensiero è una scorciatoia facile, un mix dei bias di semplificazione e conferma, che evidenzia quasi esclusivamente le differenze, spesso esagerandole e stereotipandole. Il risultato è scontato: l’incomunicabilità e il mancato riconoscimento reciproco.

    Come possiamo affrontare queste distorsioni? Possiamo alimentare  l’inter-operabilità umana, ovvero un sistema che permetta di valorizzare ogni contributo      con     visione     unitaria,     integrata     e prospettica, prescindendo da qualsiasi tematica connessa all’età, perseguendo un obiettivo comune.

    Non  è  solo  utile  farlo,  ma  è  necessario  per  il benessere dell’azienda e le positive ricadute sia sul business che sulla salute delle persone.

    Perché è così difficile per noi accettare e integrare la diversità generazionale, nonostante gli sforzi consapevoli? Lo chiediamo ad Eleonora Ventura, psicologa del Wellbeing.

    L’integrazione della diversità non è mai stata una cosa semplice.

    Le neuroscienze ci insegnano che il nostro cervello cerca naturalmente l’omogeneità ed è sospettoso verso ciò che percepiamo diverso. Siamo fisiologicamente predisposti a creare un gruppo di appartenenza e a rafforzarne il valore per distinzione dagli altri, di cui estremizziamo i tratti più lontani dai nostri.

    Un meccanismo istintivo che è stato utile per semplificare la complessità. Ci ha guidato spesso a non vederci, a giudicarci per semplificare, a trarre le nostre conclusioni troppo in fretta, ad escluderci a vicenda, alimentando pregiudizi e stereotipie.

    Cosa vedete succedere nelle aziende in cui ci sono dei silos generazionali? Lo chiediamo a Lucia Grazi, Partner da oltre 20 anni e responsabile dell’inserimento di giovani in Hermes Consulting.

    Il fenomeno “Giovani talenti cercasi” o “Nuovi talenti in fuga” è ormai evidente, parallelamente a un fenomeno di marginalizzazione delle persone sopra i 50 anni.

    L’emergere di silos generazionali porta con sé chiari sintomi di disfunzione: notiamo una comunicazione inefficace e una marcata resistenza al cambiamento, soprattutto tra i membri più anziani dell’organizzazione. Queste frizioni limitano non solo le opportunità di mentorship tra le generazioni, ma generano anche tensioni che compromettono la collaborazione, rendendo l’ambiente lavorativo meno coeso. Inoltre, la mancanza di integrazione tra le generazioni spesso causa un alto turnover: i giovani lasciano in cerca di nuove opportunità, mentre i senior si sentono trascurati e sottovalutati.

     

    Inoltre, la difficoltà di innovare a fondo e la sfida di parlare lo stesso linguaggio dei nuovi clienti, sono dirette conseguenze di una conoscenza che non viene condivisa come dovrebbe. Ciò che impariamo e come interpretiamo le informazioni dovrebbero essere patrimonio comune, ma spesso non lo sono.

    Chi può abilitare una trasformazione?

    Per trasformare le culture in azienda, 3 parti devono entrare in dialogo: il Management, l’HR e una rappresentanza di generazioni diverse.

    Serve una leadership inclusiva e sensibile, capace di favorire la mediazione e l’incontro tra persone, che valorizzi i diversi contributi estendendoli in un’unica voce. Allo stesso modo, HR ha bisogno di rivedere i presupposti su cui sviluppa la cura delle persone, dalla selezione, alla valutazione, al dialogo continuo nei team, a strumenti che abilitino una condivisione reale.

    Eleonora, nel tuo ruolo di Client Manager, cosa proponi alle aziende per identificare e capitalizzare punti di forza e aree di miglioramento tra le diverse generazioni in azienda?

    Per prima cosa, organizziamo un workshop che si chiama “Senza età”, come il libro di Diego, per sensibilizzare i leadership team e i manager a scoprire i bias nascosti.

    Poi il nostro approccio fotografa l’azienda con analisi generazionali di clima e focus group a rappresentanza inclusiva, in cui esploriamo anche gli scenari di futuro possibili, con una metodologia consolidata, per individuare quello auspicato e facciamo scegliere i passi da fare insieme per realizzarlo: lo chiamiamo Future- proof horizons strategies e rende già chi partecipa, attore di una co-creazione inclusiva, perciò “nostra”.

    E dopo questa presa di consapevolezza, Lucia, come uscire dai silos e creare un ponte per la co-creazione?

    Lo facciamo con una rappresentanza inclusiva, dove Leadership Team, HR e popolazione aziendale intergenerazionale, co-creano l’Employée Value Proposition. Gruppi di lavoro tematizzati incarnano diverse parti dell’azienda e della sua cultura e sono invitati a catturare e raccontare aspetti della loro organizzazione nel presente e in progressione. Testimoniano valori, pratiche, significati condivisi.

    Seguono i Grounding Action Lab percorsi concreti per passare dalla cultura all’azione, in cui coinvolgiamo gruppi eterogenei, che a partire da obiettivi e aspetti identitari comuni, prima negoziano le linee di indirizzo sugli sviluppi strategici, da integrare nel piano di impresa. Poi, trasformano le priorità di azione in cantieri di progettazione, testing e implementazioni pilota, sperimentabili in contesti controllati e cicli brevi.

    Le generazioni si incontrano e generano insieme. Inoltre, possiamo unire valori e innovazione. Un caso è quello della Value Innovation Week”,  un evento rivolto a tutta la popolazione aziendale, per lavorare sui valori insieme e tramutarli in nuove idee frutto di contaminazione e conoscenza reciproca.

    E non dimentichiamo gli “Age of Value”, percorsi di group coaching per rinnovare l’impulso professionale di chi ha più esperienza, valorizzandone le competenze e stimolando la trasmissione di best practices.

    Come inquadrate le progettualità che sviluppate rispetto alle tematiche generazionali?

    Alimentiamo un’intelligenza intergenerazionale collettiva.

    Diego, come definite l’intelligenza intergenerazionale e quale impatto ha questo approccio sulla cultura aziendale?

     Consideriamo l’intelligenza intergenerazionale individuale come la capacità di riconoscere le diverse prospettive, competenze e valori, della propria e di altre generazioni, armonizzarle e metterle a fattore comune, per trovare soluzioni nuove.

    Hermes Consulting trasferisce sull’azienda tale approccio che riconosce la diversità di età come una risorsa preziosa e non un ostacolo.

    Mettere in pratica un’intelligenza intergenerazionale collettiva, significa creare un ambiente dove l’etica e la cultura valoriale, il sapere esperienziale e le pratiche consolidate, la conoscenza di un ruolo incontrano nuove idee, una mentalità aperta e il rinnovato desiderio di collaborare per un purpose comune.

    Attraverso il dialogo e la collaborazione intergenerazionale, le aziende possono migliorare significativamente la loro capacità di innovare e risolvere problemi in modo creativo. Questo pone le basi per una maggiore armonia interna, un’alta resilienza e la longevità dell’organizzazione.

    Come fare per attivare un progetto con voi?

    Siamo disponibili a incontrare chi fosse interessato e vedere quali soluzioni sono più adatte al suo contesto. Potete scrivere a lucia.grazi@hermesconsulting.com e visitare il nostro sito www.hermesconsulting.it

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  • persone con finestra

    Da contenitore a contenuto: benessere e socialità sul luogo di lavoro

    Introduzione

    Vi siete mai chiesti come prospera un’azienda? Avete mai elencato gli elementi che più vi occorrono per essere felici? Vi siete domandati quali di essi ritrovate nel vostro lavoro e come è cambiata la composizione di questi elementi al variare dell’equilibrio di vita e di lavoro post-pandemia? In questo articolo parleremo di benessere, di felicità, di prosperità, ma anche di cambiamento; di luogo e di senso.

    Che cos’è il Lavoro per Noi

    Il lavoro ha sempre costituito un’esperienza preziosa nella vita della maggior parte degli esseri umani; tanto che al di là di un dovere e di un diritto, per molti è un bisogno poiché permette di arrivare a un senso di interezza, di raggiungere una maggiore sicurezza, di comunicare agli altri chi siamo.

    Esso si colora di molteplici significati, scandisce il nostro tempo e le nostre attività, è un sistema sociale nel quale le persone interagiscono quotidianamente, che ha norme e rituali condivisi. Il lavoro ci permette di definire il nostro status sociale e contribuisce a formare l’identità personale.

    È un punto di riferimento per riconoscersi, per arricchire o confermare il proprio modo di concepire sé stessi. Si tratta di uno spazio di espressione ampio e potente, attraverso il quale crescono la nostra competenza, la nostra autonomia e il nostro senso di scopo.

    Quando ci sentiamo soddisfatti e motivati nel lavoro che svogliamo e percepiamo di essere in sintonia con obiettivi, mission e vision dell’azienda, scopriamo che quest’agenzia di socializzazione per noi assolve alcuni dei bisogni fondamentali per il nostro benessere psicologico

    La famosa psicologa Carol Ryff identifica 6 bisogni chiave per la nostra felicità, ed è possibile che ogni persona, all’interno della sua organizzazione, riesca ad assolverli tutti, in proporzione più o meno alta:

    • Accettarsi ed esprimersi, provando soddisfazione verso di sé e verso la propria vita avendo consapevolezza delle proprie qualità.
    • Sentirsi Autonomi, avendo la capacità di prendere decisioni, di regolare il proprio comportamento in modo coerente con i propri valori e obiettivi, sentendosi in controllo della propria vita.
    • Vedersi crescere avendo l’opportunità di una ricerca continua di sviluppo, nell’accoglienza di nuove sfide ed esperienze.
    • Sentirsi in agio nel proprio ambiente, un luogo che include aspetti fisici, sociali e culturali, su cui esercitiamo un’influenza e a cui ci sentiamo di appartenere, perché al suo interno condividiamo esperienze e tracciamo relazioni con altre persone.
    • Sentirsi parte di un gruppo, coltivando relazioni di prossimità. La qualità delle relazioni interpersonali e il sostegno sociale che si riceve dagli altri ci fanno sentire bene. Le interazioni quotidiane nel contesto organizzativo favoriscono il cambiamento comportamentale, promuovono l’empowerment personale e permettono di negoziare le proprie differenze. In questo contesto, l’empatia gioca un ruolo fondamentale, riduce i pregiudizi, ci rende reattivi ai bisogni degli altri, catalizza la costruzione di relazioni di supporto e fiducia.
    • Riconoscere ed esprimere il proprio scopo; sentire un senso profondo, un significato nel proprio agire e intuire la direzione migliore per la propria vita, tracciando obiettivi con più chiarezza e delineando la propria visione con passione e lungimiranza.

    L’Incidenza del Luogo di Lavoro

    Ma quanto incide la fisicità del luogo sull’espressione di questi elementi?

    Se li leggiamo con attenzione intuiamo subito come la distribuzione di questi fattori cambia velocemente nell’era dell’Hybrid Work: alcuni crescono a vista d’occhio, altri calano allo stesso ritmo.

    Per le persone la possibilità di esprimersi, di accettarsi, di scambiare, di collaborare è fortemente legata all’attaccamento verso il luogo in cui le azioni prendono vita.

    L’organizzazione esprime in ogni momento una propria cultura, ha un’identità e obiettivi istituzionali e spesso veicola tutto questo senza bisogno di parole scritte.

    È proprio come un “organismo vivente”, dove individuo e azienda non sono separati e separabili, anzi i funzionamenti dell’uno trovano parallelismi e interazioni complessi con quelli dell’intera azienda. Si influenzano continuamente, senza esserne consapevoli.

    Possiamo immaginare un’energia sottile e diffusa, che alimenta il tessuto delle relazioni, rendendo le piccole parti dell’azienda un’unica squadra

    Tutto questo accade perché esiste un contenitore, fatto di pareti, di porte e finestre dove si scambia continuamente, dove ci rispecchiamo “letteralmente”. Quando eravamo bambini era la scuola, poi diventa il lavoro.

    Ci imitiamo, ci sintonizziamo, ci capiamo, ricevendo continuamente qualcosa dagli altri. Viviamo un senso di esperienza condivisa.

    Nelle stanze nasce una risonanza, che ci consente di eseguire i compiti, risolvere i problemi, collaborare, in modo coordinato e connesso.

    Quando le Pareti Diventano Finestre Liquide

    Cosa succede quando il luogo fisico si dematerializza?

    È ovvio che il senso di appartenenza, un tempo associato principalmente a un luogo fisico e a un gruppo di persone sempre presenti, sta vivendo una trasformazione significativa. È altrettanto evidente che il nostro benessere psicologico deve essere coltivato con una nuova attenzione.

    Stiamo passando da forma a sostanza, da contenitore a contenuto, da spontaneità a intenzionalità.

    Perdiamo il controllo sull’ambiente, acquistiamo maggiore autonomia, abbiamo maggiore possibilità di esprimerci individualmente e meno occasioni per mostrarlo agli altri e avere un riscontro del nostro operato. Possiamo e vogliamo crescere, ma la velocità aumenta e i nostri progressi sono sotto ai nostri occhi e poco agli occhi degli altri.

    Non possiamo fare le pause caffè ma possiamo scegliere di incontrarci e collaborare.

    Possiamo scegliere di sperimentare, possiamo decidere di condividere

    Molti processi, di socializzazione, di identificazione, di crescita, prima erano spontanei, oggi non lo sono più, richiedono un approccio intenzionale per essere costruiti insieme.

    Se non è più possibile identificare una cultura che nasce spontaneamente in un contesto fisico, oggi abbiamo l’opportunità di crearla insieme alle persone che vivono l’azienda, radicando nella loro consapevolezza e nel loro agire il senso delle attività che svolgono.

    È fondamentale avere una cultura condivisa e un significato comune per sentirsi squadra.

    Oggi è l’unica cosa che può tenerci davvero uniti.

    Inoltre, le neuroscienze ci dimostrano che il senso di appartenenza ad un’azienda è strettamente legato alla capacità di condividere una visione comune e un significato condiviso. Quando le persone si sentono parte di un obiettivo più ampio, la loro esperienza diventa più piacevole e coinvolgente. La fiducia aumenta, e si crea un legame più profondo tra i membri dell’organizzazione.

     Oggi l’intenzionalità di costruire insieme, di valorizzare le relazioni e di creare un ambiente in cui il significato sia condiviso diventa essenziale per il successo delle organizzazioni nel 2023.

     Conclusione

    In conclusione, nell’era del lavoro ibrido, l’intenzionalità di costruire un ambiente di lavoro basato su significati condivisi diventa essenziale per la soddisfazione dei dipendenti e il successo delle organizzazioni. La cultura dell’azienda e la comunicazione interna giocano un ruolo cruciale nel plasmare il benessere, il senso di appartenenza e il coinvolgimento dei lavoratori.

    Processi di visioning, di identificazione del Purpose, di co-costruzione della mission, di condivisione dei valori hanno un’importanza davvero alta nel determinare l’unione delle persone, la loro motivazione e la performance dell’azienda.

    Creando un ambiente in cui le persone si sentono parte di un senso più ampio, l’organizzazione può prosperare e affrontare con successo le sfide del futuro.

    Oggi è fondamentale partire dai perché, dai valori, da ciò che per le persone è più importante.

    Se non esiste più un contenitore, delle relazioni, degli scambi, delle persone, è il contenuto che fa la differenza. È Il perché.

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